BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 173 da e raggiunse vittoriosamente la sua mèta. Ne erano garanzia le prove date col Monumento a Dante in Trento e con l’attività svolta dalla «Pro Patria» e dalla «Lega Nazionale» : sono tutto merito degl’irredenti, che, da soli o quasi soli, non deflessero mai dalla loro linea di condotta, resistettero a tutte le difficoltà, si organizzarono sempre più perfettamente, diedero battaglia su tutti i fronti interni ed esterni (ricordiamo specialmente la campagna per l’Università di Trieste), si tennero ognor pronti per l’Oc-casione che poteva, doveva venire, e, quando l’Occasione venne, seppero trascinare dietro a sè la Nazione intera e — insieme con lei ed anche per lei — vinsero. Ferdinando Pasini RINO ALESSI, L’argine, La gatta, due drammi, Udine, Istituto delle Edizioni accademiche, 1937-XV (pp. 336; L. 12). Due drammi, fondati sopra un concetto comune: l’attaccamento all’ambiente nativo, rappresentato (e simboleggiato) nell’uno dall’argine, nell’altro dalla casa. L’argine, nel paese di Romagna, è la diga che obbliga le acque dei fiumi a scorrere entro il loro letto e ne infrena le furie torrenziali nelle stagioni delle piogge. Ma l’argine, per il protagonista del primo dramma, il giovane Zvanì, è come la siepe per il Leopardi: è la barriera che chiude l’orizzonte dinanzi a’ suoi occhi, che limita il suo mondo reale, mentre al di là di esso la sua fantasia intuisce ed imagina altri mondi, più vasti, più belli, verso i quali lo attrae il bisogno irresistibile del nuovo, l’insofferenza assoluta del consueto, l’istinto irrequieto del vagabondo. Di fronte a Zvani s’erge la figura granitica della madre Tuda, tipo di donna tutta dJun pezzo, che personifica la tradizione del lavoro organizzato e metodico, l’ideale di una famiglia che si perpetua attraverso le generazioni, legata indissolubilmente alla terra natale, vivente di essa e per essa. A rompere l’accordo fra madre e figlio, càpita nella loro casa, in una notte di tempesta, una signora straniera, che Zvanì, il traghettatore dell’argine, ha salvata dal pericolo mortale di un incidente automobilistico. La straniera misteriosa, bella e «fatale», fa perdere la testa al giovane, il quale, lusingato da una sua momentanea dedizione (gli si dà, durante la sosta di quella notte, nella casa del traghettatore), la insegue poi per le vie del mondo, «di là dell’argine», e la raggiunge a Roma. Ma li, lo coglie e lo stronca la più atroce delusione: in un drammatico colloquio di spiegazione, la straniera gli fa capire che la momentanea dedizione non significava per lei che un momento, non era affatto affatto l’inizio di un legame che dovesse durare tutta la vita. La mente di Zvanì perde l’equilibrio: impazzisce di furore e si dà a una esistenza di bandito, durante la quale commette anche un omicidio. Finché interviene l’appello della madre, che ha la forza di richiamare il figlio a sè e di fargli ricuperare la coscienza della propria situazione. Egli conviene che l’errore suo fu tutto nel distaccarsi dall’argine, nell’a-ver creduto a una maggiore felicità altrove. Ma come ricominciare, ormai, la vita di prima? C’è di mezzo la morte di un innocente: ed è una colpa che bisogna espiare. La madre 10 persuade a riprendere la sua bisaccia per «andare lontano»: egli deve eclissarsi dal piccolo mondo in cui è nato e dove non avèva voluto rimanere. Non ne aveva riconosciuto 11 valore ed ora lo ha perduto.