GABRIELE D’ANNUNZIO E GLI IRREDENTI i. Giosuè Carducci fu il poeta degli irredenti, Gabriele d’Annunzio quello deirirredentismo. Se, discendendo alla radice del movimento nazionale, si volessero esattamente sceverarne i fattori e gli impulsi, ben si vedrebbe quanta parte nell’atteggiamento politico degli irredenti abbia avuto la poesia carducciana, così legata allo spirito del suo tempo, ma così densa di tradizione e di passione italiana. Da questa ricerca apparirebbe più chiara che mai, direi quasi illuminata nei suoi aspetti elementari, l’opera civile della letteratura, la quale, per quanto riguarda il Carducci, è da considerarsi inseparabile dagli sviluppi ideali deirirredentismo nella sua ultima fase. Conviene oggi riconoscere che, come fenomeno prevalentemente borghese, l’irredentismo ebbe per suo presupposto essenziale la coltura umanistica, esuberantemente dominata dopo il 1880 dal Carducci, che sulle ultime generazioni degli irredenti esercitò un ascendente quale forse nessun altro scrittore, prima di lui, ebbe sui propri contemporanei. Come uomo e come artista, egli rappresentò la propria epoca con tutte le sue contraddizioni, ma forse appunto per questo la poesia di lui valse a conciliare nella sfera superiore dello spirito gli elementi così vari, così complessi e spesso così antitetici, dai quali l’irredentismo, specie quello giuliano, fu determinato. Il Carducci, cui il profondo e vivace patriottismo naturalmente volse all’amore costantemente professato per le terre ancor rimaste sotto il dominio straniero, ebbe senza dubbio consapevolezza di questa sua funzione nazionale anche oltre i confini: la schiera degli irredenti suoi discepoli, da lui paternamente amati e protetti, basterebbe a darne viva e duratura testimonianza. Ma, nato si può dire agli albori del moto nazionale, il Carducci rimase pur sempre un uomo del Risorgimento. Da questo eroico passato egli trasse la linfa più pura della sua ispirazione, talché le sue liriche aggressioni