50 ATTILIO BIDOLI Delitti contro la religione Con deviazione radicale delle norme romane, gli statuti trattano il reato di bestemmia, per il quale Giustiniano aveva comminato l’estremo supplizio con la Novella 77 «de affìciendis supplicio iis qui per Deum iurant quique blasphemant». Negli statuti il reato subisce l’influenza canonica che prevede un’ammenda oltre alla penitenza. Se il reo è insolvente, a Pola «de mergitur in acqua por-tus», a Capodistria sta mezza giornata alla berlina, a Trieste è immerso nel mare tre volte al giorno per due giorni di seguito, a Isola è legato al palo; a Pirano «debeat stare ligatus ad pignam una die et una nocte, vel proici in acquam a capite moli per tres vices in camisia». La scelta della pena è in suo arbitrio. La bestemmia non arreca un danno materiale a singoli individui, ma offende i principi morali che sono radicati in tutti gli individui. E’ ovvio ripetere quanto forte fosse il sentimento religioso di tutto il popolo italiano nel secolo XIV, periodo dei nostri statuti italiani, e tanto più in quelle lontane terre dell’Istria, ove quelle genti campagnole e semplici ponevano la fede cristiana al di sopra di tutti gli altri sentimenti. La bestemmia contro Dio quindi veniva punita severamente. Ma nelle pene stabilite contro il bestemmiatore, più che l’intenzione di arrecare un effettivo danno materiale al reo, si cercava di colpire l’amor proprio del colpevole che, con l’essere esposto alla berlina per due giorni di seguito, doveva sentirsi svergognato e pentito del male fatto. L’essere immerso per tre volte di seguito in mare e per di più in camicia, era non solo una vergona per chi subiva la pena, ma anche un timore per gli altri di dover subire altrettanto se fossero incorsi in tale delitto. Veniva dunque anche ad Albona comminata una pena pecuniaria per il bestemmiatore, che, se insolvente, subiva la più atroce vergogna di essere posto alla berlina e per di più con una scritta che a tutti palesasse il suo delitto contro la religione. La pena per i reati di stregoneria detti «herbariae» «artes magicales» e per le «herbariae amatioriae» è l’arsione del reo (Trieste II 28). La pena del fuoco è comminata se il reo causò la morte di persona; altrimenti la punizione è in discrezione della Curia o del Conte. Per questo reato le vedute canoniche penetrarono nella legislazione civile, che del resto nelle ultime norme degli imperatori aveva accolto in simili casi la pena dell’estremo supplizio (c. 3, 5, de malef. Cod. IX, 18). Per i reati «de facturis» negli statuti di Pola, (IV 16) la pena è in discrezione del regime. Ad Isola (I 48) chi con «artes diabolicae» fa «de^enire aliquam personam ad inor-