BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 275 sta, che ha costituito l’ossatura di tutta la storia di Trieste». Illusione? Non è la vera parola. La gentile e valente autrice poteva dire tranquillamente e serenamente: certezza. La diremo noi per lei. Ferdinando Pasini BRUNO G. SANZIN — Ottimismo ad ogni costo — romanzo, Roma, Unione editoriale d’Italia, 1938-X VII ; pgg. 243 (L. 10). S. E. Marinetti, celebrando nel Meridiano di Roma (19-26 febbr. a. c.) il «Trentennale del Futurismo», metteva, subito dopo la pubblicazione del Manifesto, come prima manifestazione del nuovo movimento ar-tistico-letterario, la «serata futurista» al Politeama Rossetti di Trieste (marzo 1909), serata ch’ebbe — com’è noto — il suo strascico di chiassi e dimostrazioni irredentistiche. Non ci siamo dimenticati quella benemerenza patriottica del futurismo, nel quale vedemmo subito come il simbolo di ciò che si sarebbe dovuto fare per troncare la ■naia consuetudine (non vogliamo dire tradizione, per non profanare un vocabolo che ha già, nel fascismo, d significato di cosa sacra), per troncare — dicevo — la mala consuetudine della politica estera del Begno d’Italia. Quelle cariatidi che avevano avuto la pretesa di guidarla avevano posto il carro innanzi a’ buoi: s’era-no illusi di poter iniziare una politica estera in grande stile lasciando (come diceva il Battisti) le «chiavi di casa» in mano dei nemici di ieri, di coloro che potevano diventare o ridiventare i nemici di domani. Bisognava capovolgere quella politica assurda: provvedere prima al-3 sicurezza dei confini nordorien- tali, e poi avremmo potuto esigere dalle altre grandi potenze d’essere trattati da pari a pari. La satira della politica triplicistica italiana e l’indicazione de’ suoi necessari rimedi noi irredentisti la vedevamo nell’amena inversione della «lista cibaria» (allora si diceva menu) che s’era fatta nel rancio allestito dai futuristi per quella serata triestina: cominciarono il rancio dal caffè e dalle frutta per finire.. con l’antipasto! — Ma quanti capirono la finissima beffa? (Benché ... non siamo la nazione della «beffa di Buccari» ?) Bicordando tutto ciò, non posso che accogliere con una irresistibile (irrazionale?) simpatia questo libro del futurista triestino Bruno G. San-zin, che mi parla di un «ottimismo ad ogni costo». Non era, non fu ottimismo ad ogni costo anche tutto l’irredentismo che ci resse nella lotta contro la dominazione dell’Austria, che ci aiutò, finalmente, ad abbatterla? A dir vero, egli dichiara di aver voluto scrivere un romanzo «non futurista». Si tratta di un giovane che, preso tra l’amore e la miseria, sta per commettere un atto che lo avrebbe disonorato davanti a sè stesso, che sarebbe stato un eterno rimorso per la sua coscienza di patriota e d’italiano. Ma la sua coscienza ha un improvviso risveglio e si ribella alla tentazione: siamo intorno al 1920, nella fase evangelica od apostolica del fascismo. Per liberarsi dalle insidie e dalle lusinghe del sovversivismo, cui stava cedendo, il giovane protagonista del romanzo corre tra le file dei fascisti che scendono in piazza e prende parte anche lui alle loro rischiosissime azioni. Perchè il Sanzin ha creduto bene di avvertirci ch’egli ha voluto scrivere un romanzo «non futurista»? Forse perch’egli è convinto che il