BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO AURELIA GRUBER, Atmosfere crepuscolari. Milano, «Ariel», 1939-XVII; pp. 267 (L. 12). Se questo libro capiterà in mano a qualche critico modernista (modernista non è lo stesso che moderno, badate bene: è la caricatura del moderno), può darsi ch’egli vi pianti un ragionamento interminabile sopra i miracoli del surrealismo o vi esalti la sottigliezza della psicanalisi freudiana o vi parli di penetrazione delle atmosfere, di ricerca del tempo perduto, di scomposizione dei piani, di masse, di volumi, di colori, di prospettive, di tonalità, vi seppellisca — insomma — sotto quel bagaglio di termini tecnici e di preconcetti scolastici che formano oggi la delizia de’ letterati dell’ultima leva. A prevenire forse questo pericolo, Anseimo Bucci, che scrive la prefazione al libro di Aurelia Gruber, volle mettere i punti sugli i, avvertendo subito il lettore — con franchezza che a taluno sembrerà magari un po’ rude — delle qualità fondamentali e caratteristiche del libro: l’autrice, «cresciuta in una famiglia di lette., rati illustri» (si chiamano: Delia Ben-co, Silvio Benco), «estenuata di intelligenza», avrà avuto anche delle intenzioni teoriche, in relazione con gli spiriti e con le forme della più recente generazione artistica, ma la sostanza dell’opera sua va ricercata soprattutto nel bisogno di una sincerità istintiva, che tormenta di continuo sè stessa, che vorrebbe essere superiore a tutte le cose, ed anche a sè stessa, eppure vorrebbe immergersi in tutte le cose e condividerne fraternamente ogni palpito, di gioia o di dolore. L’autrice concepisce la vita come una interferenza di «atmosfere», termine ora di moda (1): ciascuno cerca di costruirsi la sua propria atmosfera, come a dire un proprio ambiente, dentro il quale recitare una sua propria «parte», e tende a invadere le atmosfere altrui o a difendersi dalla loro invadenza. C’è chi non pensa a invadere nè a difendersi: sono le nature recettive, alle quali è riserbata la «controparte» delle nature invadenti e per le quali la vita non è conflitto (offesa o difesa), ma è accordo e collaborazione. Non è da credere che le nature recettive non abbiano ànch’esse i loro dolori, come li hanno le nature invadenti, le quali non sempre riescono a vincere e, pur vincendo, non sempre riescono a evitar le ferite. Senon-chè l’attenzione dell’autrice si raccoglie prevalentemente sopra i dolori delle nature invadenti: e dallo studio delle loro anime ha cavato una pedagogia ch’ella distribuisce in due gruppi di prose, ciascuno con un suo proprio titolo: «Preannuncio di temi» il primo, «Variazioni su quattro temi» il secondo. Il secondo contiene la materia di un romanzo che l’autrice non ha voluto comporre: ha preferito trattarne i motivi principali separatamente, ciascuno per sè, in forma di episodi autonomi, allineandoli secondo un piano di richiami e riferimenti interni, che serve, tuttavia, in definitiva, a costituire un filo conduttore e guida verso una conclusione. La conclusione — o morale pratica — si trova nella penultima prosa, il cui titolo «Volti nudi» ricorda le «Maschere nude» pirandelliane: è un appello, di-fatti, alla nudità o sincerità delle anime, che non devono ribellarsi, è vero, alla «necessità di assumere il proprio ruolo modesto sul palcoscenico della vita», ma quel ruolo hanno diritto a svolgerlo senza transazioni vigliacche, dovute a sfiducia nelle proprie forze o alla prepotenza altrui.