VENT’ANNI DALLA MARCIA DI RONCHI 293 voluto mai interrompere la guardia, non ha mai voluto allontanarsi dal termine dove fu piantata l’insegna offerta dalle donne di Trieste. Patisce il freddo, dorme su le tavole, mangia scarso; ma non si lagna nè si muove. Dove il combattente giuliano è fermo, a guardia della sua terra, ivi si radica, ivi mette radici di quercia. Siamo sicuri. Iersera, nella montagna, mi parlava con un viso illuminato di martire. Il suo amore abbracciava tutta la sua terra, dal Timavo al Camaro. Aperse il libro della sua fede, e mi mostrò la parola vittoriosa ch'egli aveva fatta sua: „Non v’è affamato, non v'è assetato che brami di saziarsi e di bevere come io desidero di patire e di lottare”. Poi chiuse il libro, come il Leone di guerra. Sono passati vent’anni dalla notte stellata di Ronchi. Gabriele d’Annunzio dorme l’eterno sonno tra i lauri del Yittoriale. I giovanissimi legionari d’allora sono uomini adulti, alcuni con le tempie brizzolate e il passo stanco. Ma il fenomeno «legionario» è entrato profondamente nel sangue degli italiani, e più duramente che a Fiume, e più cruentemente, altri legionari, in terra d’Africa e in terra di Spagna, hanno lottato per la libertà e la grandezza d’Italia. E altri, che salgono ogni giorno dalle inesauste riserve della stirpe, saranno pronti a lottare domani, basta che il Duce lo comandi. E pure questa, anche se gli anni pesano ormai sulle spalle, è una constatazione che conforta perchè dimostra che l’esempio non è stato vano, e che il seme di Fiume ha germinato bene. FEDERICO PAGNACCO