FATTI, PERSONE, IDEE 167 màcora sopra il Piìar Gabriel di Sante Marie la Longe. Rimaniamo perfettamente convinti dell’opinione da lui espressa sulla fine dell’articolo: «Qui, nel teatro della guerra, gomito a gomito del fante, il superuomo aveva scoperto l’umanità dell’uomo». Il teatro della guerra, cui l’Ermàcora si riferisce, era il suo Friuli, che visse e vive, «gomito a gomito» con la Venezia Giulia, tutta la passione delle terre di confine. Un archivio, addirittura, di documenti e testimonianze è la pubblicazione di Termini, dedicata alla gesta d’annunziana di Fiume. Ammirai (nell’aprile del 1938) il febbrile ardore de’ compilatori, vedendoli (Ge-rini, Garibaldo Marussi) al lavoro nella redazione della rivista, e mi esaltai non poco dinanzi alla sterminata copia di lettere, fotografie, proclami, facsimili di giornali, tessere, minute e originali autografici, ch’essi mi esibivano incessantemente. Furono mesi di ostinata fatica, di cui saranno loro assai grati i posteri che non avrebbero saputo, come ne sono loro gratissimi i contemporanei che sanno, ma che percorreranno la galleria di questi cimelii tremando nel cuore con reviviscenze di sublimi sensazioni ai posteri negate. Una sola osservazione ho da fare alla prefazione di Giuseppe Gerini. In un dato punto egli dice: «Da Claudio Cantelmo ci staccammo già sul Veliki...» Francamente, non capisco tale inciso. O se Claudio Cantelmo segna proprio il momento in cui il d’Annunzio si staccava dai protagonisti del ciclo «della Rosa» per iniziare il ciclo «del Giglio»! Claudio Cantelmo è il Principe del d’Annunzio: è il d’Annunzio stesso che si volge alla politica e teorizza le sue .idee e prepara quel tipo ideale del soldato ch’egli realizzerà poi nella guerra mondiale. Andrea Sperelli, Tulio Hermil, Giorgio Aurispa dovrete dire, se mai; ma non Claudio Cantelmo, ch’è già fratello di Stelio Éffrena e di Paolo Tarsisi Ottimamente la pubblicazione è introdotta da un capitolo su «La Giovane Fiume», che prende le mosse dal 1848, cioè da quando dei fiumani si arrolavano nelle legioni garibaldine e morivano (per esempio Carlo Ma-russich) combattendo nelle guerre per l’indipendenza d’Italia. Sono cose che è opportuno ricordare massimamente oggi che vanno moltiplicandosi fra noi gli «antistorici» che la gente di buona fede prende per «istorici»: essi parlano del nostro irredentismo con la mentalità degli storiografi germanici tipo Mommsen, per i quali non c’erano che invenzioni fantastiche da demolire ovverossia bubbole e trucchi da svelare. Ma il Mommsen e i suoi simili i fatti almeno li conoscevano: era nell’interpretazione che sbagliavano. La rivista romana Storia inaugurava la propria attività con due fascicoli (10, 25 giugno 1938-XVI), dove figura un articolo di Ivon De Begnaccintitolato Tramonto della vecchia Italia, Roma, luglio-agosto 191b, e si possono incontrare in esso notizie e giudizi come questi: «il pacifico e, giudaico irredentismo triestino faceva le spese (??) del meno pacifico e più romantico irredentismo dalmata e trentino. A Roma Salvatore Barzilai, presidente ^ del Circolo della Stampa, rappresentava l’irredentismo ebraico triestino degli Alberti, dei Mayer, dei Parisi e del Piccolo e lo stesso irredentismo che aveva dato dei Morpurgo filo-italiani e dei Mor-purgo filo-austriaci, dei Revere e degli Svevo sognanti pacificamente il ritorno al tricolore.» Dopo questo po’ po’ d’intemerata è il medesimo autore che, alquanto più in là, elogiando il «Fascio repubblicano» di Roma, si esprime così: «vediamo questi nuclei dispersi che vivono al di fuo-