FATTI, PERSONE, IDEE 163 esercitata nei secoli dal glorioso Friuli, diga infrangibile contro la quale urtarono e si ruppero le ondate d’assalto delle invasioni straniere. Trincerata tra i monti della Car-nia, addossata al bastione delle Alpi Giulie, con le scolte avanzate spinte sino oltre l’Isonzo, la stirpe friulana — radicata d’amore profondo e da tradizioni millenarie alla propria terra — fu il possente baluardo che protesse la porta orientale d’Italia. Il «di qui non si passa» della gente alpina fu il motto spirituale dei friulani. Ma, fecondi e laboriosi, essi non solo difesero le frontiere naturali di Italia, ma sempre mandarono per il mondo, umili ma dignitosi ambascia-tori del lavoro umano, frotte di operai che tennero alto in ogni terra il nome della patria. Quanto quest’emigrazione friulana abbia giovato all’italianità della Venezia Giulia è stato già, assai succintamente, detto in occasione della stampa del primo volume del Del Bianco, che ampiamente trattava appunto dell’apporto dato dal Friuli alla difesa del patrimonio nazionale di queste terre e alle lotte irredentistiche tendenti alla redenzione. Questo secondo volume, uscito di questi giorni — Giuseppe Del Bianco, „La Guerra e il Friuli”, sull’Ison-zo, in Carnia, Gorizia, Disfattismo, per i tipi dell’istituto deFlè Edizioni Accademiche, Udine — entra nel vivo della grande guerra per dimostrare e documentare quanto di sè stesso seppe dare il Friuli alla guerra del 1915-1918, quali eroiche prove di abnegazione e di resistenza diede la gente friulana per la vittoria d’Italia, quante sofferenze il popolo del Friuli dovette patire sotto il tallone straniero nell’anno dell’invasione nemica. Le altre regioni, per la vittoria italiana, diedero i loro figli migliori. Il Friuli, assieme ai migliori suoi figli, sacrificò la santità del focolare, la serenità della famiglia, la fecondità della terra, il sacrario degli altari. Da Gorizia a Latisana, da Udine a Pontebba, da Tolmezzo a Cervigna-no, la guerra passò sul Friuli come una bufera devastatrice, distruggendo uomini e cose, ricchezze e affetti, beni e famiglie. E della partecipazione del Friuli alla guerra, questo secondo volume di Giuseppe Del Bianco — ricco di circa 500 pagine e di numerose fotografie — è veramente una doviziosa e appassionata documentazione. Si apre con la presentazione di S. M. il Re, ospite augusto di Villa Italia a Mar-tignacco, e del Comando Supremo ospite di Udine. La capitale della guerra, e un po’ la capitale d’Italia, è a Udine, da dove si dipartono le direttive delle battaglie. Uno spirito di fervida collaborazione si forma spontaneo tra civili e militari, e si crea un’atmosfera di cordialità che salda i rapporti tra popolo e soldati. Nel Friuli ospitale ogni soldato ritrova un po’ aria e serenità della propria terra. Udine, centro e cervello del Friuli, accetta con spirito stoico e quasi in letizia le immancabili sofferenze della guerra, malattie, crisi, minaccia aerea. Di quest’ultima - che fa numerose vittime - anzi addirittura si beffa, e nasce quasi spontanea una canzone che irride alla paura e agli aereopla-ni nemici, dando prova un’altra volta dell’ottimo sangue e dell’innato buonumore dei friulani. Ma dove la guerra arde nella dura quotidiana battaglia, su nell’aspra Carnia, una stretta cooperaziòne si forma fra montanari e truppe. Le donne e i ragazzi portano munizioni ai soldati nelle avanzate trincee annidate tra le rocce del Pai Piccolo. Maria Plozner-Mentil, di Timau, mentre va in trincea con la gerla piena di cartucce, viene colpita da una fucilata in pieno petto. Così Giacomo Puntil,