L’ARTE AI LITTORIALI DI TRIESTE 367 iesco ma restano tuttavia interpretazione schiettamente moderna della vita. Pietro Nerici è di Pisa: e toscano, anzi fiorentino, e memore come lui della grande tradizione è Carlo Alberto Severa nella limpida e sapiente e monumentale composizione «Il pane». Severa si rifa anche più indietro del collega e il suo affresco accusa non velate ambizioni masacciane e giottesche: figure, espressioni e tagli formali, semplificazioni architetturali e paesaggiste ne sono chiari segni. E, cosa innegabile, non è facile da questi devoti pellegrinaggi in così remoto passato liberarsi da cert’aria arcaica, da certa edificante e impacciante ascesi che non possono giovare a un’opera la quale dopotutto vuol essere nostra e contemporanea. E’ la necessaria tara di codeste nobili virtù. Eppure non possiamo non ammirare il vivo e casto sentimento, la semplicità grandiosa e monumentale ch’esprime quest’opera a cui ben giustamente la commissione giudicatrice ha dato il primo posto d’onore. Firenze negli affreschi si fa la parte del leone: fra i migliori, infatti, noteremo, anche i fiorentini Marcello Rusconi e Bruno Bonci: «Pomezia» del primo offre un grato motivo di canefora nella chiara luce del disegno e del colore quattrocentista; e i grandi nomi del Ghirlandaio, dei Lippi, del Gozzoli ricorrono subito alla memoria (forse anche troppo) davanti ai «Coloni» del secondo, sebbene tanto merito disegnativo sia avvilito da un colorire stridulo anili-naceo. Ma toni superbi sonori ha la tavolozza di Dino Predonzani, un giovane capodistriano che ha fatto parecchia strada in pochissimi anni. Il suo «Riposo d’atleti» dimostra forme un po’ sommarie ma grandiose nelle figure: rudi ma monumentali: e i toni schietti e saporosi, orchestrati sui vermigli e i carmini, con contrasti di bianchi fulgidi cantanti possono avere avuto la prima origine dalle calde sinfonie del Carpaccio, di cui Capodistria vanta pezzi famosi. Piuttosto illustrativo «Sanità della razza» del senese Cesarmi, ma ben intonato nel colore. Si distinguono nella seconda sala la «Sosta» del modenese Trevisi, una scena campestre un po’ pesa nelle tinte ma di felice composizione (migliore dell’altre la figura del contadino intento a farsi versare del vino) ; il «Pugilatore» del ferrarese Benetti, un olio trattato come un acquerello tendente al monocromo; la «Pineta» del pisano Chiarini di tendenza impressionista, nutrito di colore, con un magnifico sprazzo di sole tra gli strappi del verde. Del medesimo pittore c’è un altro gradevole paesaggio che ci presenta il margine d’un bosco, con certe vette collinose immerse nel sole lontano. Anche Lapucci di Pisa ha due quadri, una naturamorta e