BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 171 Il livello della massima inettitudine diplomatica, dimostrata dal Corti al Congresso di Berlino, l’abbiamo lasciato dietro di noi; sennonché il Cairoli, il Mancini, il Nigra, il Robi-lant sono tutti brava ma povera gente, che si lascia raggirare ancora dai volponi della diplomazia austriaca. Non s’accorgono che si gioca sulla loro buona fede e che si sfruttano, del pari, tanto le loro virtù quanto le loro debolezze. Fa parte a sè Francesco Crispi, la cui statura certo supera tutti gli altri. Stiamo rifacendogli la riputazione, da qualche decennio. Ma leggendo questi documenti, quante volte dobbiamo apportar dei ritocchi alla figura troppo ideale che ce n’eravamo fatta! Se il Robilant era troppo militarmente rude e angoloso, epperò cadeva facilmente nella trappola di chi volesse fargli perdere l’equilibrio, anche il Crispi aveva degli scatti cosi inopportuni che non contribuirono a rendere agevole la sua politica. Di fronte all’irredentismo egli ebbe pubblicamente una linea di condotta così poco chiara e coerente che solo i suoi amici più intimi potevano spiegarla e giustificarla: quanto al resto della gente, ben pochi pensarono a un doppio gioco di tipo cavurriano; i più ricordavano piuttosto l’indecisione e l’ambiguità di Carlo Alberto; gli avversari politici, dentro e fuori del parlamento, ne approfittarono ed abusarono larghissimamente contro di lui per i loro fini particolari. Il disorientamento nei giudizi degli italiani trovava riscontro nei giudizi de’ suoi stessi colleghi della diplomazia straniera: il germanico Bismarck, l’austriaco Kàlnoky gli rimproveravano certe «arie di grandezza» e di «megalomania» (III 144-45, 149-51, 153, 185-86, 195-96), «poco tatto» e «sconvenienza», esagerato «amor proprio»; lo accusavano di voler «attribuirsi anche i meriti de’ suoi prede- cessori». «Il motto di Crispi», — dice addirittura l’austriaco bar. Bruck, — «è se ranger du cóté du plus fori; a questo sacrifica le simpatie di razza e la stessa antipatia esistente in Italia contro l’Austria». (Vero è che aggiunge, subito dopo: «pervaso com’è dalla grande idea di dare stabilità alle istituzioni interne e prestigio alle forze armate del paese».) Altre volte egli è l’uomo «che ci vuole» e sul quale possono contare. «L’energico modo di procedere del-l’on. Crispi contro questa canaglia (Gesindel, sono gl’irredentisti) ha dunque portato buoni frutti», dichiara il Bruck nel 1890 (III 89-90). Nel 1894, «l’on. Crispi è più che mai fermo nel combattere l’irredentismo, sotto qualsiasi forma si fosse manifestato «(III 271). Era sempre quel Crispi del quale il Bruck, nel 1887, non aveva potuto sopportare la «veemente oratoria» troppo poco riguardosa verso l’Austria, tanto che si era creduto in dovere di «abbandonare ostentativamente» la sala dove si commemorava in tornata solenne la morte di Marco Minghetti (III 130). Interessanti per noi, soprattutto, sono quelle pagine che ci documentano la campagna antitaliana che si conduceva dall’Austria abusando del sentimento religioso. Prima del 1870, cioè della breccia di Porta Pia, era facile trovare, fra gl’irredenti, sacerdoti animati di sincero patriottismo e di ardente italianità. (La più bella figura, in questo campo, è quella del barone don Giovanni a Prato, II 251-63). Ma dopo il 1870, il conflitto permanente fra Stato e Chiesa, nel Regno d’Italia, si riverberò sul contegno del clero e del partito clericale dei nostri paesi. Dopo d’allora, i preti che mostravano apertamente di sentirsi italiani erano presi di mira, ammoniti, perseguitati dalle autorità ecclesiastiche