148 OSCAR DE INCONTRERÀ alla base di pulpiti e di portali, dissimile invece del tutto dai leoni di S. Marco, sparsi ovunque per l’Istria veneta. Solo nella testa ricordava quello della facciata del duomo di Albona. Spiegarsi la presenza sulla fontana di questi animali dugente-schi, che nessuno mai osservò, sebbene fossero nel centro vitale della città, non è difficile. Sin dal 1688, su suggerimento dei nostri tre primi storiografi, Don Vincenzo Scussa, Fra Ireneo della Croce e Giovanni Battista canonico de Francol, il capitano cesareo Giovanni Filippo conte de Cobenzl, ch’era un appassionato di archeologia, ordinava che tutte le antiche pietre lavorate fossero raccolte e custodite in piazza. Ora il Mazzoleni, su consiglio del Comune, ingolfato allora in spese esorbitanti per affiancare l’esecuzione delle patenti teresiane e trasformare la grossa borgata medioevale in una città marittima, avrà trovato, tra illustri avanzi statuari e decorativi del Teatro Romano e di altri edifici classici, quelle sculture, forse provenienti da qualche fontana dimessa, e per economizzare le avrà impiegate nel monumento che stava costruendo. L’acquedotto di Montevecchio, elargito dall’imperatrice Maria Teresa con Sovrano rescritto 29 novembre 1749 (16) alla città, che fino allora si era servita unicamente dei pozzi adornanti le sue piazze e i cortili delle case patrizie, non è altro che l’antico acquedotto romano, distrutto dai Longobardi sul finire del secolo VI e che dalle radici del Monte Spaccato, attraverso la valle di San Giovanni, passando per il Viale XX Settembre (già via dell’Acquedot-to), conduceva l’acqua sino al Teatro Romano (17). Venne ricostruito e riattato, in base alle informazioni di Francesco Robba e ai rilievi dell’ingegnere del genio capitano Frass, su progetto del generale Bollii, dal tenente geniere Francesco Saverio de Bonomo, patrizio delle XIII Casade, morto col grado di colonnello nel 1788. Esecutori materiali dell’opera furono gli operai delle Cesaree miniere di mercurio di Idria, con alla testa un certo Hauptmann e diretti dal geniere Giovanni Battista Haase (18). Nel 1751 l’acquedotto era compiuto con condotti e canaletti in legno, che poi, durante l’ampliamento del 1816, furono in gran parte sostituiti con tubi in ferro dall’ing. Adalberto Secker. Mentre la fontana era opera comunale, l’acquedotto lo era dello Stato, perchè dal 1748 al 1778 il Consiglio dei Patrizi rinunciò al «reggimento della città», costretto dalle ristrettezze finanziarie (19). Appena col «Rezess» 18 gennaio 1819 l’acquedotto pervenne al Comune. La sua sorgente, ossia «capofonte», la si scorge tuttora a San Giovanni, in via alle Cave, a pochi passi dalla trecentesca chiesetta dei Santi Giovanni e Pelagio. L’ingresso del suo minuscolo serba-