- 18 — I pirati, che s’annidavano nelle rade e piccoli porti della costa croata, avrebbero distrutto il commercio e con ciò la ricchezza di Venezia. Salona comprese questa dura necessità ed anzi che ostacolare la politica veneta s’ alleò con la Serenissima ricavando da quest’ alleanza un miglioramento nei traffici e benessere e pace per i suoi cittadini. Anche Ancona seppe adattarsi all’ ineluttabile e dopo un periodo di lotta, seppe mantenere rapporti abbastanza cordiali con la repubblica veneta (1). Chi non comprese questa necessità e non volle adattarvisi fu Trieste. Ciò che lamentava Trieste era il fatto che Venezia dichiaratasi signora dell’ Adriatico, non riconosceva la libertà dei mari (2). Avveniva che tutte le navi entranti od uscenti dal porto di Trieste dovevano sostare a Capo d’Istria dove venivano visitate e fatte proseguire dopo aver pagato un tributo ed essere state dichiarate, mediante scrittura del capitano veneto, disarmate e sprovviste di generi di contrabbando. I triestini gridavano essere questo un sopruso di Venezia per impedire il sorgere d’ un porto concorrente. Ma questa certamente non fu la ragione che mosse Venezia ad operare una vigilanza così accurata. Essa mirava ad impedire 1’ armamento dei legni da corsa ed a rendere sicuro il traffico. E fece bene, anche perchè Trieste non si prestava allora per un traffico intenso. Vane erano le querimonie dei triestini e le loro speranze furono deluse quando, coll’ atto di dedizione del 1382, si sottomisero ai duchi d’ Austria. Con quest’ atto Trieste chiese al duca Leopoldo d’ essere annessa al suo ducato accettando in cambio i dazi e le gabelle che sarebbero state imposte. Fu stabilito pure che i generi che dovevano servire all’ alimentazione della città e tutti gli animali da lavoro importati via terra sarebbero stati esenti da dazi. Evidentemente, passando ai duchi d’Austria, i triestini speravano di risollevare i commerci e di poter combattere efficacemente Venezia. Essi provvidero affinchè i mercanti tedeschi trovassero in città alloggio e stallaggio, e intermediari che conoscessero la loro lingua. Ma tutto questo non giovò perchè essendo libere le strade che dall’ interno conducevano al mare, i commercianti delle provincie interne preferivano trattare coi veneziani che davano maggior affidamento sia per la sicurezza dei viaggi come per la comodità e rapidità delle comunicazioni. I triestini allora acquistarono Castelnuovo che si trova tra Corniale e 1’ Istria, s’impadronirono del nodo stradale e costrinsero i mercanti che di là transitavano a scendere in città. Muggia, Capo d’Istria, Isola e Pirano che, da questa mossa dei triestini, videro manomesso il proprio traffico, mossero contro Trieste, aiutati da Venezia, e misero l’assedio alla città. Trieste stava per cedere quando, per 1' intromissione del papa Pio Secondo un tempo Vescovo di Trieste, fu conclusa la pace di Venezia. Il Castelnovano fu perduto ; le strade ritornarono in mano ai veneti ed il commercio di Trieste fu distrutto. Se le iniziative dei triestini per far prosperare il traffico del loro porto non ebbero nessun successo, altrettanto, si può dire, raggiunsero i provvedimenti presi dai duchi di Casa d’ Austria. L’imperatore Federico emanò diversi ordini per fare prosperare la città. Tra gli altri si possono ricordare quello del 1478 che imponeva al capitano della Stiria di lasciar libero commercio ai Triestini nelle città e nelle fiere, quello del 1489 col quale si obbliga che il commercio dei paesi dipendenti dall’ Austria e diretto in Italia facesse capo a Trieste, quello del 1491 che proibisce lo sbarco dei vini d’Istria a S. Giovanni di Duino, quello del 1493 che non ammette l’introduzione, negli Stati austriaci, d’ olio estero che non abbia toccato la dogana di Trieste. (1) Ern. Spadolini «Ancona e Genova». Ancona 1901. (2) Tanto più ingiuste erano le querele dei triestini inquantochè essi godevano in Venezia dei privilegi, avevano una propria riva al pari dei sudditi della repubbblica e godevano delle immunità per 1’ importazione del ferro e delle tavole di legno. In cambio Venezia richiedeva a Trieste che fosse riconosciuto il Doge come signore dell’ Adriatico e riscuoteva un tributo di 60 orne di vino.