- 121 — all’Italia, tanto che praticamente la si può considerare come appartenente alla Patria comune. Che poi Trieste non debba essere lasciata cadere commercialmente spingendo già fin d’ora i commercianti a preferire Fiume anziché Trieste, questo è più che vero, ma non il porto franco si adatta a ciò, che anzi costituirebbe uno svantaggio inquantochè il Governo, una volta concesso il porto franco, si disinteresserebbe dal prendere altri provvedimenti e la città sarebbe appunto lasciata cadere commercialmente. Non vogliamo dilungarci oltre su questo argomento, chè ciò potrebbe avere sapore di polemica e non è questo lo scopo che si vuol raggiungere. Possiamo riassumere dicendo che si potrebbe bensì sostenere che il porto franco possa portare qualche vantaggio, ma esso sarebbe di gran lunga minore degli inconvenienti e dei danni che questo provvedimento porterebbe seco. D’altra parte tutti, indistintamente, gli eventuali vantaggi del porto franco sono facilmente ottenibili mercè provvedimenti che non porterebbero invece gli svantaggi del porto franco, il quale poi è assolutamente inadatto a risolvere il problema più grave del commercio triestino ed a rimuovere le vere cause che ne deprimono l’intensità. Infatti il porto franco non risolve la questione tariffaria, non risolve nemmeno quello delle spese di piazza, non spinge alla riorganizzazione dei commerci. Non serve ad altro chea creare una libertà più illusoria che reale, la quale se non è accompagnata da riduzioni di spesa e da vantaggi economici non ha certamente quel valore taumaturgico che i sostenitori di questa tesi le assegnano. * * * Le ragioni che ci consigliano a non accettare la tesi del porto franco non vanno ricercate, tanto, nel fatto dei minimi vantaggi che questo provvedimento sarebbe in grado di dare, quanto agli inconvenienti che ne derivano e nelle ragioni che ne determinarono la creazione nei tempi remoti. Ne abbiamo già accennato uno. Il porto franco concesso a Trieste sarebbe motivo di discordia tra i nostri porti maggiori i quali hanno nemici così temibili che sarebbe delitto distogliere l’attenzione e l’attività di questi nostri porti dalla lotta contro i porti del Nord. È indispensabile che i nostri maggiori porti uniscano i loro sforzi nell’impari lotta e che le difficoltà di carattere interno, se ce ne sono, siano appianate al più presto possibile. Sarebbe anzi opportuno che le Camere di Commercio dei vari porti e gli enti commerciali interessati studiassero il modo di rendere gli organi che dirigono il movimento portuale più semplici e le spese per le operazioni necessarie più basse possibili. E a questo studio dovrebbero procedere di mutuo accordo mediante la riunione di congressi e l’istituzione di commissioni speciali, in modo da attuare un vasto programma di riforme che metta in grado i nostri porti di combattere più efficacemente quelli rivali del Nord. Questo in linea generale. In linea particolare la dichiarazione di Trieste porto franco farebbe morire anche quelle poche industrie che, ora stentatamente, ma prima della guerra più fiorentemente, prosperano. Questo danno primi fra tutti l’hanno capito gl’industriali medesimi. Ne è a dirsi che essi si dichiararono, per alto senso di civismo, solidali coi fautori del porto franco. Questo fu in un primo momento quando ancora il problema non era stato sviscerato completamente. Allora, vuoi perchè gli industriali non ebbero la completa visione della portata d’un simile provvedimento, vuoi perchè si sperava che il ribasso del costo della mano d’opera avrebbe potuto esser immediato e di tale entità da supplire in gran parte alla protezione che sarebbe venuta a mancare, vuoi ancora perchè si sperava di poter trasformare le industrie esistenti in industrie di pura esportazione, il fatto è che gli industriali acconsentirono alla proclamazione del porto franco. Ma, studiato bene il problema, essi si ricredettero ben presto accedendo alla tesi opposta,