beni e delle persone, tempo un anno, e nello ammetterli ai titoli consigliari ed al-1’ acquisto del titolo baronale. Non era ancora ammessa la libertà del culto, ma praticamente s’ era giunti alla parificazione tra cristiani, ebrei e turchi (cristiani però, non maomettani). Rimaneva ancora, come tassa, una gabella tollerabile (dice il testo di legge al paragrafo 3) e massima, secondo la tariffa, del mezzo ad valorem, come tassa d’introduzione, detta tassa di consolato, e la gabella di ammiragliato sulle merci ed effetti venduti o permutati. Il valore della merce, agli eiïetti del fisco, era stabilito da stima fatta dal presidente del consolato (autorità commerciale governativa) o da un consigliere del tribunale cambiario col concorso d’ una persona della nazionalità della nave. Le contrattazioni nelle vendite e nelle compere erano lasciate completamente libere e potevano essere fatte al prezzo stabilito al libero mercato. Insomma si toglievano i calmieri sui prezzi. Veniva concessa, ai banchi d’ assicurazione che dovevano sorgere nei due porti, la facoltà di anticipare su merci. Il diritto di rappresaglia sulle navi, merci o persone di stranieri veniva abolito. Rimaneva ancora la proibizione per il commercio di determinate merci e le navi che entravano nei porti venivano visitate soltanto se c’ era il sospetto che a bordo vi fossero di tali merci, nel qual caso si sequestravano. Nei libri di bordo, che dovevano essere mostrati ad ogni richiesta delle autorità, le autorità del paese di origine dovevano dichiarare la nazionalità delle merci. Nel 1722 si provvide alla pubblicazione del codice cambiario per l’Austria inferiore, desunto dalle leggi in vigore nell’ Austria danubiana, e si crearono i tribunali di commercio di prima e seconda istanza con rito proprio, procedura istantanea ed esecuzione paratissima. Con patente del 19 dicembre 1725 si proibisce, nel recinto di quello che si chiamava porto franco, cioè nell’ odierno porto doganale, il commercio al minuto. È stabilito che le partite di merce vendute nel porto franco non devono avere un valore inferiore ai 100 talleri, che nel caso in cui l’insieme formante la partita abbia un valore minore. Trovandosi in contrasto con questa disposizione, il compratore perde la merce ed il venditore il prezzo ricavato. Le merci, ancora soggette a proibizione, sono : il ferro, 1’ acciaio, il rame, il (mercurio, il tabacco e il sale, ossia quelle merci che formano monopolio di stato o nell’ industria delle quali sono investiti ingenti capitali appartenenti alla famiglia regnante. Ottimo provvedimento è quello che permette ai commercianti esteri che hanno causa pendente davanti ai tribunali, di continuare il proprio viaggio, sborsando un’ adeguata cauzione e eleggendo in propria vece una persona di fiducia. L’ amministrazione del porto franco e delle sue appendici, cioè dei magazzini imperiali (entrepôt reale) e di quelli privati (entrepôt fittizio) viene affidata all’ esattore imperiale e, in mancanza di questi, al doganiere capo. Sempre nell’ intento di promuovere il commercio, Carlo VI, colla patente del 19 agosto 1729, istituisce a Trieste la fiera franca. Questo provvedimento consiste in ciò che uno spazio di terreno, in vicinanza della costa nel luogo press’ a poco dove oggi sorge il Tergesteo e la Borsa, era dichiarato franco per 20 giorni, dal 1 al 20 agosto, ogni anno. Durante questo tempo è data facoltà a tutti i mercanti nazionali ed esteri di trafficare all’ ingrosso ed al minuto (anche nel recinto del porto franco). Ognuno poi, senza bisogno di speciale licenza, poteva tenere osterie dentro e fuori di Trieste, e dare alloggio ai mercanti. Durante il periodo della fiera ogni mercante poteva fare il sensale (professione per la quale occorreva una speciale licenza negli altri periodi dell’ anno) e poteva trattare qualunque qualità di merce, ad eccezione però di quelle proibite. La fiera doveva essere tenuta per la prima volta nel 1730.