- 122 — come ben lo dimostra una lettera inviata il 3 Maggio 1922 dalla Federazione Industriali di Trieste all’allora Commissario Generale Civile della città. Quanto alla creazione di eventuali industrie di pura esportazione è necessario esaminare le diverse possibilità. L’ubicazione di Trieste, dal punto di vista tecnico, è tale per cui non vi possono prosperare delle vaste industrie ed allora è perfettamente inutile proclamare il porto franco, oppure Trieste si presta per far sorgere delle grandi industrie ed allora è necessario esaminare quali industrie potrebbero sorgere nel porto. Se le industrie che a Trieste verrebbero a svilupparsi dovessero essere tali da muovere concorrenza, sul mercato mondiale, alle industrie fortemente protette del Regno, e tali in definitiva dovrebbero essere perchè le condizioni di Trieste non sono sostanzialmente diverse da quelle degli altri centri del Regno, ed allora sarebbe delittuoso proteggere con grave danno del contribuente e del consumatore italiano, delle industrie per poi contemporaneamente rendere difficile la loro esistenza o creare la possibilità al sorgere di nuove industrie concorrenti. Oppure le industrie che dovrebbero sorgere a Trieste integrerebbero quelle esistenti oggi nel Regno, il che sembra per ovvie ragioni assurdo, ma allora queste industrie, muovendo concorrenza a quelle del retro-terra farebbero decadere il commercio della città. Sarebbe più opportuno, ove ciò fosse possibile, far sorgere le industrie di cui attualmente l’Italia manca, in altri luoghi che tecnicamente meglio si prestano allo scopo e promuovere invece a Trieste il grande commercio. Ma tutte queste sono possibilità molto problematiche perchè Trieste male si presta al sorgere di grandi industrie. Prima della guerra, credo nel 1909, una associazione bancaria dell’interno pensò di creare a Trieste una grande industria molitoria. Orbene, i competenti chiamati a giudicare sulla possibilità o meno di creare questa industria, che avrebbe dovuto servire unicamente all’esportazione, fatti i debiti calcoli, dovettero concludere sconsigliando l’intrapresa perchè la crusca sarebbe stata prodotta a un costo superiore al prezzo della crusca importata dal Mar Nero. E questo non per il prezzo della materia prima, che sarebbe potuta arrivare sia dall’ U n-gheria che dalla Russia, nel qual ultimo caso sarebbe stata esente da dazio perchè il molino sarebbe sorto entro il recinto delle zone franche, ma perchè la lavorazione risultava troppo costosa. Da qualunque lato, per ciò che riguarda le industrie, si vuol considerare il problema del porto franco, si finisce per concludere che la sua attuazione non farebbe altro che sopprimere anche quella poca attività industriale che attualmente esiste, senza apportare il minimo beneficio. Ma poi, coll’ attuazione del porto franco verrebbe ostacolato, se non distrutto, il commercio col Regno? Gli oppositori sostennero esser questa una piccola perdita per Trieste poiché l’Italia, prima della guerra, concorreva con una quota minima (1) nel commercio triestino. Neanche prima della guerra l’Italia concorreva in parte così minima come si vorrebbe far credere, perchè nelle esportazioni via mare essa occupava il primo posto col 20,56 °/0 e nel movimento marittimo complessivo essa concorreva per il 12,10 “/o- Nel movimento ferroviario la sua quota è molto minore, il 3,17 °/0 sul movimento complessivo, ma questo specialmente derivava dagli ostacoli d’ ogni specie che 1’ Austria erigeva contro il commercio italiano. Cadute le barriere che separavano Trieste dalla ' Madre Patria, la partecipazione dell’ Italia ai commerci triestini crebbe enormemente. Basta pensare che nel 1919 l’Italia concorreva per più del 30 °/0 nel movimento complessivo via mare e per oltre il 35 °/0 nel movimento ferroviario. Bisogna ricordare però che allora erano tempi eccezionali perchè i paesi dell’ interno erano completamente sprovvisti di merci e quindi l’Italia divenne la rifornitrice di questi paesi. Ciò non toglie che anche nel 1921 l’Italia partecipò in larga misura al commercio triestino e precisamente col 15 °/0 nel traffico marittimo e con più del 46 °/0 nel traffico ferroviario. L’ equilibrio delle cifre ci dice quale stabilità abbia questo movimento. Infatti nel 1921 su 6 milioni e mezzo di (i) Il prof. Cablati afferma che nel 1913 1’ Italia concorse per il 7,9 °/0 nel movimento complessivo via mare.