Con lettera del 7 luglio 1730 l’Imperatore concede 1’ esenzione dei dazi per tutte le merci fabbricate in Austria, le quali rimangono sottoposte soltanto alla tassa di pedaggio, mantenuta ancora sulle strade e sui ponti. Successivamente vengono aboliti i dazi d’introduzione sulle merci estere destinate al consumo nel territorio degli Stati austriaci ed introdotte attraverso ad uno dei porti franchi e vengono ridotti notevolmente i dazi per le merci in transito. Nel novembre dello stesso anno vengono tolti i dazi di transito e quelli di consumo per le merci introdotte a Trieste in tempo di Aera. La fiera, che fu chiamata di S. Lorenzo e fu tenuta la prima volta dal 10 al 31 agosto del 1731, si mostrò disadatta allo scopo per il quale fu creata. Daltronde era naturale questo fallimento della fiera. Le antiche fiere potevano prosperare soltanto nelle città interne in contrade prive di comunicazione, dove i prodotti dell’industria domestica avevano bisogno di un mercato accentratore per poter essere scambiati, dando modo ai commercianti di vedere riuniti in un solo luogo i prodotti fabbricati da centinaia di famiglie ed alle famiglie contadine d’ approvvigionarsi per tutto 1’ anno. Trieste, porto di transito, privo di una regione industriale sua propria, non poteva servire per accentrare le piccole produzioni di regioni lontane, le poche famiglie contadine sparse sul territorio brullo del Carso non avevano bisogno d’ una fiera per comperare le poche cose necessarie alla loro parca esistenza o per esitare i prodotti d’ una industria che non esisteva ; questa la causa principale per cui il tentativo della fiera franca fallì miseramente. Nel 1736 Carlo VI tentò di richiamare in vita questa fiera stabilendo di farne due anziché una, ma anche questo tentativo non sortì un esito migliore del primo. Però dall’ istituzione della fiera Trieste ottenne il privilegio di poter introdurre merci provenienti dagli stati austriaci in completa franchigia ed ebbe ridotto ad un terzo il dazio di transito per le merci estere. Nel distretto camerale, cioè in quella parte di città che si trovava fuori delle mura ed era sotto la giurisdizione del capitano imperiale e del tribunale mercantile, Carlo VI stabilì la sede della Compagnia Orientale, creata nel 1719 con un capitale di 1.000.000 di talleri e della quale era azionista lo stesso Imperatore. Questa Compagnia, che negli intenti del Governo di Vienna doveva promuovere il commercio con 1’ Oriente, fu più dì danno che di profitto alla città. Essa ebbe una vita stentata, come tutti gli organismi protetti, e fruttò degli utili soltanto ai suoi direttori. Anche la Marina da guerra creata da Carlo VI non potè svilupparsi e dopo pochi anni dalla sua creazione fu disarmata. Mancavano allora, allo stato Austriaco, gli elementi capaci d’ organizzare una marina militare. Può sembrare strano che ad onta dei provvedimenti presi da Carlo VI per favorire il commercio di Trieste, 1’ attività economica dell’ emporio rimanesse stazionaria. Le ragioni furono molteplici e l’inattività dipese in parte da provvedimenti poco razionali presi dal governo centrale ed in parte da cause esterne, alle quali non era possibile rimediare colla semplice promulgazione d’ un atto legislativo. Dopo il trasferimento della Compagnia Orientale da Anversa a Trieste, continue furono le liti tra la Compagnia e la città ed in queste lotte s’ esauriva tutta la attività dei cittadini. I mercanti della vecchia città furono schiacciati dalla nuova Compagnia e furono obbligati od a ritirarsi dal commercio, oppure a sottomettersi alla Compagnia medesima, scopo essenziale della quale non era già quello di promuovere il traffico con 1’ Oriente, com’ era negli intendimenti di chi la creò, ma quello comune a tutti gli organismi protetti e parassiti, di spremere quante più sovvenzioni potesse dalle casse dell’Erario. Gravissime scissure, che soltanto la soppressione della Compagnia Orientale avvenuta nel 1742 potè scemare un po’, dividevano gli abitanti dell’ Emporio, quelli cioè che abitavano fuori delle mura, in massima parte stranieri, dagli abitanti della vecchia città che, fieri del loro spirito autonomo prettamente italiano, cercavano d’ imporsi ai nuovi venuti subordinando gl’interessi dei traffici a quelli della loro città.