UNA VOLATA TEA I FALCHI 321 a simili cavalcate attraverso paraggi tanto accidentati, ne riportava un ricordo molto durevole, non soltanto nello spirito, ma anche nel fisico. Ora, invece, ci si sdraia in una comoda vettura e, in meno di sei ore, si arriva a Cettigne. Avevo, fortunatamente, per compagno di viaggio il capitano Matanovich, una personalità montenegrina, fratello al ministro delle finanze. Nessuno meglio di lui avrebbe saputo istruirmi su d’ogni sasso del suo paese. Un bel tipo di montanaro sulla cinquantina, dalla fronte aperta, dallo sguardo intelligente e fiero; parlava un linguaggio pittoresco e colorito, come tutti i suoi connazionali. !Mi accorsi subito che si preoccupava affabilmente della mia persona, perchè, giunti alla seconda serpentina, mi avvertì di coprirmi un po’ meglio : l’aria si faceva sempre più rigida, ed era pericolosa a chi non vi fosse avvezzo. Mentre ammiravo la grandiosa fortezza di Gorazda che, dal suolo austriaco, ha di mira la strada, donde eventualmente potrebbe piombare il nemico, il mio capitano trasse di tasca un pomo e me ne diede un pezzettino, indi sorseggiò da una fiaschetta un po’ d’acquavite. — Questa precauzione è necessaria: tu sai, la vetta del monte per dove passa la frontiera tra l’Austria e il Monte-negro, è alta circa 1500 metri : fin lassù sale la strada : qui siamo in autunno, lassù, a Njegos, troveremo ancora alta neve. Una goccia d’acquavite non ti farà male... Detto ciò, mi porse la fiaschetta, dopo di averne pulito il bocchino sulla propria guancia. Sorseggiandone alcune goccie, pensavo con ammirazione a quell’atto delicato. È una costumanza orientale. Così un turco, quando vi offre il suo cibili, dopo di avervelo acceso, ne pulisce il bocchino d’ambra delicatamente sulla propria barba. Poiché, un turco giura sulla sua barba, e un montenegrino sul suo óbraz (viso, o guancia) che, nel suo liguaggio figurativo, equivale ad onore.