I MORLACCHI 347 o almeno un giaciglio possibile. Quando tocco questo argomento, mi rispondono : « non vorrai che diventiamo ridicoli ! Che cosa ne direbbe Todoro, Marco, Stojan? ». I più doviziosi si permettono il lusso d’una pojata, ossia di una capanna ausiliaria, in cui tengono la paglia e il fieno e dove, in certe circostanze, dormono i maschi. Poi, attiguo all’abitazione, o al tugurio, è Yambar, o Ivs, un grandioso cesto di vimini, in cui si asciugano le pannocchie, o si conserva il grano. Ma, come abitazione, noi abbiamo invariabilmente un tugurio, un solo tetto per la famiglia — talvolta per parecchie famiglie — e per gli animali. In mezzo al tetto è un foro per lasciar passare il fumo e, sotto il foro, un basso focolare. Quando l’unica porta è chiusa, come avviene d’inverno, il fumo invade talmente la capanna, da restarne asfissiati. Ma il morlacco ne è abituato : egli respira per lunghe ore quell’aria densa, senza che i ferrei polmoni di lui se ne risentano. Alcune capanne sono divise in due parti per mezzo d’uno steccato: una parte è destinata alla famiglia, l’altra agli animali. Talvolta in una capanna sono ricoverati fin 30 animali tra manzi, cavalli, pecore, suini, e oltre dieci persone. Non traccia di letto, di sedia, di tavola. Un cassone per il grano, una cassa per i vestiti, uno o due piccoli tripodi di legno, ecco tutto. L’elenco delle suppellettili è presto fatto: una rozza pentola di terra; la sripnja, una specie di emisfero di terra, sotto il quale si cuoce la stiacciata; una grande Mila, ossia scodella di legno ; alcuni cucchiai pure di legno ; una vucija, arnese di legno per l’acqua; una bukara, boccale di legno a manico lungo; una buracia, piccolo recipiente di pelle, per il vino; alcune tikve, zucche vuote, pure per liquidi : in alcune case trovate ancora la gusla, appesa ad un chiodo. Questo è tutto.