236 LA DALMAZIA E in cima, dominanti la vastissima pianura a sud, le rovine fantastiche di una fortezza turca. Metà della borgata è abitata da cristiani, metà da turchi; ma, essendo questi ultimi in maggioranza, in tutte le manifestazioni del paese predomina la nota orientale. Numerose le moschee coi loro alti e snelli minareti. Sull’unica strada che attraversa la borgata, incontro un’apparizione leggiadra: una ragazza turca vestita alla sultanina, in seta celeste, con gonnelle larghissime, strette ai garretti, con due piedini da fata, chiusi in babbuccie rosse, con in testa il fez dal fiocco di seta nera: intorno al collo candido, una fila di perle. Più in là, sul piazzale duna caserma, le reclute del paese vengono trenate da ufficiali austriaci. Giù in fondo, in mezzo alla pianura sterminata, biancheggiano grandi case, moderne : è il centro dell’ammimstrazione austriaca, con gli annessi depositi di tabacco della regìa austriaca. Vi si accede per una larga strada a zig-zag. Proseguo il mio giro attraverso la borgata ed entro nel quartiere turco. Lo conoscete di primo acchito, daH’immancabile bazar, formato di baracche minuscole in cui si vende, in dosi omeopatiche, tutto ciò che potete sognare. I negozianti stanno seduti placidamente, con le gambe incrociate, sur un rialzo dei loro negozi lilipuziani. Fumano sigarette o la pipa, e sorseggiano caffè. In una baracca scorgo seduto un turco dall’aspetto venerando, vecchio, con occhiali oscuri. Ticino a lui, altri due turchi più giovani, col fez ravvolto in ampia fascia candida, riccamente vestiti all’asiatica, dal fare solenne di gente agiata. Mi avvicino, li saluto e rivolgo a loro qualche parola in lingua slava. Non mi rispondono, ma mi guardano fissi, atteggiando il loro volto ispirato ad un sorriso. — Non comprendono la nostra lingua: sono dell’Asia — mi avverte il vecchio.