A BORDO DELL’ « IBIS » 21 Tutt’altro. Fu appunto sotto Giustiniano, nel sesto secolo, che gli avari del Caucaso vennero in Europa devastando per un secolo le città e i monumenti più insigni delle terre da essi attraversate. Nel 639 smantellarono Salona, Narona, Bur-num, Epidauro ed altre città floridissime, in modo da non lasciar pietra sopra pietra. Una bravura, del resto, anche quella, un’attitudine speciale, un’impresa che oggidì non riuscirebbe a nessun popolo con tutte le invenzioni della melinite, della panclastite, o di altri tanti mezzi moderni di distrazione. Quod non fecerunt avari... fecero gli slavi, invocati da Eraclio, un imperatore di gran tatto. Egli penso : « non resta altro che opporre barbari a barbari, quelli dei Carpazi a quelli del Caucaso ». E ci riesci. Terso la metà del settimo secolo, croati e serbi, piombati in Dalmazia, sterminarono gli avari e si divisero la provincia: i croati ne occuparono la parte occidentale, fino al fiume Cettina; i serbi, l’orientale, dal Cettina all’Albania. Del resto, mancando a quell’epoca geometri, può darsi che questi dati non siano d’una esattezza inoppugnabile, ma soltanto approssimativa. Con l’epoca di Carlomagno, ossia col principio del ix secolo, si inizia una serie non già di anni, ma di secoli disastrosi per la Dalmazia. In preda alle più stravaganti vicende, fu per circa sette secoli il pomo della discordia, il campo di battagliala palestra d’armi fra i re d’Ungheria,la Serenissima, gli uscocchi, i turchi, i pirati narentani, i saraceni, i conti di Bribir, i genovesi, i priori di Yrana, i corsari di tutto il mondo, i bani bosnesi, e via dicendo, senza contare le lotte intestine fra le singole città e le guerre civili e mille altri momenti di agitazione e d’irrequietudine. Più volte venduta e rivenduta, conquistata e riconquistata, depredata, saccheggiata, ceduta e ripresa, è un miracolo che il nome di Dalmazia esista ancora!