UNA VOLATA TEA I FALCHI 327 — Vorrei vedere la baba... — Non esiste più — mi avvertì il ministro degli esteri, Stanko Radonich, morto prematuramente l’anno scorso, di lenta paralisi cerebrale. Si chiamava baba un vecchio cannone, appostato in un cortile del « bigliardo », e serviva ad un ufficio stranissimo: su esso si legavano i ladri col ventre in giù e si impartivano ad essi coram populo sferzate a sangue. Così gli antecessori del principe Nicolò estirparono dal loro paese il furto a tal segno, che oggidì potete lasciare in mezzo alla strada, in qualunque parte del Montenegro, un borsellino pieno d’oro, con la sicurezza matematica che, il giorno appresso, vi sarà restituito : chi lo trova s’affretta a depositarlo presso le autorità. — Ho inteso che vorreste salutare il nostro principe ? — mi chiese gentilmente il signor Bozo Petrovicb, primo cugino del sovrano e presidente del Senato montenegrino. — Senza dubbio, non vorrei partire, senza avergli presentati i miei omaggi — gli risposi. — Egli non è qui, sapete: è giù alla Rijeka, dove il clima è alquanto più mite. Volete, dopopranzo, fare una piacevole gita fin laggiù ? — Senz’altro! — Ebbene, or ora domanderò telegraficamente, se il go-spodar (sire) può ricevervi. Dopo un’ora, un perjanik mi portava un dispaccio laconico, affinchè ne prendessi nota. Diceva « Venga pure », Ed io, prese le relative disposizioni, subito dopo il pranzo, partii in una vettura dell’albergo alla volta di Rijeka. Il saggio albergatore mi favorì un cappotto portentoso di panno grossolano, ma efficacissimo contro i rigori di quel clima: i montenegrini lo chiamano gunj e tutti lo portano d’inverno, anche