48 LA DALMAZIA Agli amatori della pittura classica, il duomo di Zara porge parecchi dipinti di buon pennello: nella chiesa di San Francesco, una pala di Yittore Carpaccio, una di Palma il giovane, un’altra di Sebastiano Ricci, e, dietro l’altar maggiore, un affresco ammiratissimo del pittore zaratino Salghetti-Drioli, morto pochi anni or sono. Ricchissimo, coltivava la pittura per impulso artistico, per diletto, per sport; e quando perdette la moglie, eseguì quell’affresco, nella di cui parte inferiore, l’artista, circondato dai suoi numerosi bambini, piange sul feretro della sua defunta. Un lavoro ammirabile per espressione geniale e per colorito. Ci lavorò dieci anni. In fine, nella chiesa della Madonna del Castello, si conservano alcuni buoni dipinti della scuola veneta. Fra le opere monumentali di Zara profana meritano speciale menzione i Cinque Pozzi e la nominata torre pentagona del Bo’ d’Antona. Questa torre, elegantissima, sorgeva sull’istmo, quando Zara era penisola, e non poteva esser altro che una torre d’osservazione, perocché dominasse l’ingresso alla città dalla parte di terraferma. Essa sola afferma la grandiosità delle fortificazioni di Zara, prima dell’invasione vandalica dei crociati. Accanto, sta un ampio sotterraneo, un lavoro ammiratissimo per i suoi pregi architettonici, una maraviglia. Era un rifugio?... un nascondiglio ?... un’appendice strategica?... un’uscita segreta?... un serbatoio di vettovaglie e di munizioni?... Non si sa. È certo però che lo insigne architetto veneto, il Sammicheli, ridusse quel sotterraneo monumentale a serbatoio d’acqua, adornandolo di cinque cisterne artistiche. — Facciamo un giro di Zara veneta? — mi disse un giorno l’amico Feoli, un pubblicista altrettanto insigne per i suoi talenti, quanto per le sue stravaganze. E ci recammo attraverso le vie del Teatro, del Monte e di San Simeone, la parie