172 LA. DALMAZIA nabili di certi signorotti die, con le loro scorrerie, si garantivano una vita agiata e libera. Dai loro castelli, in cima a picchi inabbordabili, essi pure depredavano a man salva. Nè la storia inflisse loro una nota di biasimo. Tutt’altro : moltissimi di quei falchi medioevali lasciarono ai loro posteri titoli e stemmi di nobiltà. L’ufficio araldico potrebbe fornirci in proposito qualche dettaglio abbastanza edificante. Dal momento che vigeva un solo diritto, quello del più forte, era naturale ne profittassero tanto i predoni di terra, quanto quelli di mare. I pirati almissani coltivavano la pirateria, avendo la coscienza di esercitare un’ industria lecita e produttiva. Conviene riflettere che il commercio marittimo di quei tempi trovava, nella pirateria, talvolta una minaccia, spesso una salvaguardia. Comunque, abbiamo un documento del 1208 : è un trattato di pace e d’amicizia tra il conte Sebenna d’Almissa e il doge Pietro Ziani. Costui si firma: « Venetiarum, Dalma tiae ac Croatiae rex ». Pesi più audaci per l’appoggio dei conti di Bribir, gli almissani inducono (1221) papa Onorio III a pregare gli spalatini di battere quei pirati, giacché avevano aggredito pellegrini recantisi alla crociata. Verso la fine del xiv secolo, dopo lotte incessanti, gli almissani, sicuri della protezione di alleati potenti, rinunciano alla pirateria. Ma il loro paese rimane il pomo della discordia tra i re d’Ungheria, la Serenissima, i turchi ed altri signorotti. Nel 1433, in forza del trattato di pace tra il re Sigismondo d’Ungheria e la repubblica veneta, Almissa viene assegnata a quest’ultima. Da allora fino alla caduta della repubblica, Almissa e dintorni vennero più volte infestati dalle orde turchesche per la via di terra. E durante la dominazione francese, russi e francesi se ne contrastarono parecchio il possesso, precisamente perchè Almissa era una tappa militare d’alta importanza