310 LA DALMAZIA primo acchito la stranezza delle fortificazioni di Cattar© e delle sue mura di cinta che, quasi saltando di roccia in roccia, precipitano dalla metà del monte Sella al mare. E sfugge pure la riva, un boulevard ameno, fiancheggiato da grosse mura venete, su cui incontriamo per l’ultima volta il leone di San Marco. La nostra fantasia è tuttora abbagliata dalle spiagge ridenti che, contrastando con montagne ripidissime e brulle, con le vaghe penombre di profonde vallate, con orizzonti or spaventevoli or sereni, con paesaggi oltremodo romantici, formano un quadro imponente di bellezze naturali. È un ricordo delizioso per tutta la vita, come quello del golfo di Napoli, del porto di Rio Janeiro, del Bosforo: poeti e artisti affermano che le Bocche di Cattaro, per ricchezza e grandiosità di scenario, superano il Bosforo. La punta d’Ostro segna il confine della civiltà e della storia d’occidente. I vari dominii che si succedettero nell’antico Sinus rliizonicus, le vicende stravaganti dei secoli non tolsero a quei paraggi l’impronta orientale. Ne fanno fede l’etnografia, la psicologia, la religione dei bocchesi. Da un continente slavo con la costa orlata da oasi italiane, eccoci in terra prettamente slava, con pochi punti che furono un tempo sotto il dominio politico della Serenissima. E, accanto alla nazionalità slava della popolazione, emerge distintamente la chiesa greco-orientale. Cattaro si presenta al forestiero così pacifica e tranquilla, come stesse in un mondo a parte, nel quale nulla potesse entrare da oltre le Bocche. Si è tentati di dimenticare non solo che il golfo fu teatro di tante rivoluzioni attraverso tante epoche, ma che Cattaro è tuttora una città di confine, una tappa sul cammino di forze, di tendenze, di razze diverse. Però, se alziamo lo sguardo al monte Sella che la sovrasta, vediamo segni eloquenti del suo passato e del suo