98 LA DALMAZIA verso mezzogiorno. Ed è naturale che vi allignino il lauro, l’aloe, la vite, il carrubo, il fico e la palma. Difficile immaginarsi una zona più mite, una campagna più florida, una vegetazione più rigogliosa. Sia che ammiriate le Castella dal cassero di un piroscafo, o le attraversiate in vettura, esse, coi loro dintorni, vi trasportano in un angolo di terra promessa. Notoriamente, il vino delle Castella dalmate gode fama invincibile nel commercio d’Europa. Lo si vende prima che le uve maturino. Negozianti ed agenti, specie francesi, se lo disputano accanitamente. È un vino prezioso da taglio, perchè robusto, denso, saporito, ricco di colorito. Tradisce facilmente lo straniero, col suo sapore delicato e ingenuo. Se ne bevete due soli bicchieri, senza esserne abituati, le orecchie, col loro ronzìo eloquente, vi avvertono che avete commésso un’imprudenza, e il mondo vi si presenta tosto sotto le più rosee parvenze. ìli soffermai a Castel Suciuraz. A memoria d’uomo era un piccolo villaggio di miseri pescatori. Costoro gettarono le reti alle ortiche e divennero agricoltori, allettati dalle prerogative agricole delle loro terre. Ed ora è un villaggio florido, ove incontrate campagnuoli danarosi che formano la nobiltà finanziaria dell’epoca modernissima. Uno di questi potè lasciare al suo unico figlio, morto testé a Spalato, un patrimonio d’un milione di fiorini. Picchiai alla villa del conte Francesco Cambj, mia carissima e vecchia conoscenza. Sapevo che lo avrei trovato a Suciuraz, dove stava regolando alcuni affari privati, concernenti il patrimonio della sua aggraziata consorte. I due coniugi erano occupatissimi. Nella loro casa era un andirivieni incessante di campagnuoli. Non sapevo spiegarmene la causa, di primo acchito. — Sai — mi disse l’amico Franetto — siamo in setti-