174 LA DALMAZIA Infatti, Checco e io non c’eravamo più riveduti dal 1878. In quell’anno, essendosi mobilizzato il reggimento Weber, per i bisogni dell’occupazione militare della Bosnia-Erzego-vina, ci trovammo inaspettatamente nel forte Grippi di Spalato, vestiti da semplici soldati. Nè eravamo le sole reclute che avessero titoli accademici. La compagnia suppletoria ne contava una quarantina: professori, ingegneri, dottori in legge, e via discorrendo, chiamati sotto le armi per le esigenze imprescindibili di guerra. Non dimenticherò mai i maltratti poco generosi di un ignobile tenente che teneva a farci sentire tutto il peso della nostra modesta posizione... — Bicordi, Checco, le manovre e le marcie forzate dalle ore tre antimeridiane alle otto, e le famose merende luculliane divorate a quell’ora insolita, quando prima, abitualmente, si prendeva appena una tazzina di caffè!... L’uomo è l’animale delle abitudini... — Bicordo tutto !... Ma tu te la sei svignata dopo poche settimane, mentre noi si fece tutta la campagna di Bosnia, e per giorni e giorni non ci spogliammo, e per più settimane si dormì all’aperto, su terreno umido, alla pioggia... — E sei vivo?!... — Ci si abitua a tutto, davvero. Non pareva vero allo zio professore, che noi, giovani, si evocassero memorie di tempi lontani. — È un indizio di vecchiaia — ci fece osservare argutamente — quando si parla troppo del passato. È l’avvenire che a voi deve sorridere... Si conversò delle condizioni attuali e dei bisogni più urgenti di Almissa —del duomo di Spalato e dei restauri in corso di lavoro — dell’epoca di Diocleziano — del dominio veneto e del francese — di cento altri argomenti. Nella con-