LO STREGONE DELLA NARENTA 211 ciò che tornava utile ; che i veri uomini erano quelli che sapevano profittare delle debolezze dei loro simili, e che il più gran merito era quello di aver ucciso almeno 99 turchi. Egli si vantava di averne ucciso 90, sia collo schioppo, sia con arma bianca e sperava di raggiungere il centinaio ben presto. Avrebbe potuto, sì, sterminarne migliaia e migliaia colle arti magiche che diceva di professare ; ma disdegnava questo mezzo, perchè sleale e punto eroico... Per una strana contraddizione poi sosteneva che quelle arti dovessero essere adoperate contro i personali nemici, entro il proprio paese ; aveva anzi raccontato di aver fatto morire un certo Dompetrovich del villaggio di Slivno, la moglie dell’arambasè di Metkovich e la moglie di Tomaso Ma-rinovich, per vendicarsi delle gravi ingiurie che costoro gli recarono, e delle calunnie inventate contro di lui. Questo mariuolo patentato seppe co’ suoi modi formarsi una tale aureola di potenza, ch’era da tutti temuto, e, quel che è peggio, consultato da gente d’ogni specie, nelle vere o finte necessità. Le consultazioni gli procuravano lauti guadagni e con questi, senza calcolare quanto si era procacciato colle precedenti sue birbonerie, poteva considerarsi, per que’ luoghi, in quei tempi, e nella sua condizione, abbastanza ricco. La giovane che lo aveva trovato dormente, non osò svegliarlo, ma sedette in un canto della corte, dove un elevato macigno la riparava dai cocenti raggi del sole. Il cane che le si era avvicinato, scherzava con essa, ma nel saltellare svegliò il padrone, il quale vide con piacere la giovane e le proferse i suoi servigi. Uopo un lungo colloquio, insistendo costei per avere il rimedio che desiderava, egli le disse che le avrebbe dato un orecchio di cane nero, avvolto in un cencio di lino, col quale orecchio importava ben fregare i catenacci delle porte di