230 LA DALMAZIA matricolato. Profittava della dabbenaggine e della superstizione dei suoi paesani, atteggiandosi a taumaturgo, come anche oggidì, in alcuni paeselli di Dalmazia, si ritiene il parroco capace di scongiurare le furie degli elementi. E quando, a malgrado degli esorcismi, dello scampanìo, dell’esposizione solenne del Santissimo, la tempesta devasta e distrugge il raccolto, il prete non tarda ad esclamare, sospirando: « Ah, i vostri peccati sono troppo grandi e la misericordia di Dio verso di voi è esaurita! ». Se oggidì simili enormezze sono tollerate dalla legge, che cosa doveva essere ai tempi di don Barissa ! Il quale, vivente, ebbe il ghiribizzo di prepararsi la lapide sepolcrale. La vidi e l’ammirai, nel cimitero di Yido. E una gran lastra di granito, su cui sono scolpite rozzamente le quattordici stazioni della Via Crucis. È opera di don Barissa che sapeva, come avete veduto nell’affare delle iscrizioni, maneggiare lo scalpello. Domanderà qualcuno, come avesse vissuto per raggiungere, in quei paraggi allora mortiferi, l’ottantesimo anno. I vecchi che lo ricordano, affermano che faceva gran consumo di vino e di bevande alcooliche « per rompere l’aria » e che vestiva sempre, estate e inverno, gli stessi vestiti. Un anno, nel cuore dell’estate, un inglese volle vederlo. Don Barissa gli si presentò e lo straniero lo descrisse in questi termini: « Mi fu condotto dinanzi uno strano figuro coperto di pelli di montone, con la testa ravvolta in un grosso scialle, con una corda intorno ai lombi, con un asciugamano lurido sulle spalle con cui si asciugava il copioso sudore, e con una pipa lunga e grossa che gli serviva anche da bastone ». Finita l’esplorazione di Narona e della celebre casa di don Barissa, ritorniamo a Metkovich, da dove intraprenderemo altre brevi escursioni nei dintorni. I ragazzi di Yido ci of-