216 LA DALMAZIA fine sull'imbrunire, scusandosi di non aver potuto venir prima, perchè assente da casa. Il cappellano la condusse nella propria stanza. Le domandò, anzitutto, quando si fosse confessata l’ultima volta, e seppe ch’erasi confessata a Pasqua, due anni fa, ma che intendeva confessarsi tra breve. Egli ne la rimproverò dolcemente, e nel tempo stesso le fece comprendere di aver indovinato il motivo della trascurata confessione : il Samich doveva averla ammaliata. Natalina arrossì, e fece il segno della santa croce senza dir parola: atto questo che valse a giustificarla agli occhi del cappellano, che voleva'indurla a secondarlo ne’ suoi progetti. Sapendo ch’essa frequentava la casa del vice sopra-intendente, tenne vivo il discorso sul Samich, delle cui male arti mostravasi benissimo informato, ricordò parecchi di lui fatti, e fecele capire di aver scoperto — e questo era di pianta inventato — ch’egli voleva privar di vita il soprain-tendente con orribili stregonerie. A questo punto, la femmina scattò, alzossi in piedi e si gittò tremante in ginocchio dinanzi al cappellano. Indi gli raccontò che pochi giorni avanti, passando dalla casa del Samich, costui la avvertì che sarebbe quella sera, nascosta-mente, venuto a cenare da lei. Venne infatti colle solite precauzioni , perchè sempre temeva di essere arrestato dal so-praintendente. Durante la cena — erano soli, perchè assente da piìi giorni il marito di lei — egli trasse da una tasca due ossa, e disse ch’erano due tibie, una d’uomo morto e l’altra di cavallo. Poi trasse un vasetto e disse che conteneva un liquido misto di sangue di un uomo morto, di un cane e di un agnello nero. Trasse in fine dal seno un libretto colla sopracoperta gialla e disse che gli era stato donato dalle fate. Le tibie incro-