A BORDO DELL’ « IRIS » 11 versazione con la gentile nepote del parroco francese, proprio nel momento che si discuteva, con un certo entusiasmo e con una gara di paradossi, un tema d’obbligo: « il settimo sacramento... ». Che fare?... Dice un proverbio dalmato che la violenza non è una raccomandazione presso Dio. Ritiratomi, con gli onori delle armi, nella mia cabina, volli coricarmi subito, pregustando mefistofelicamente la prossima ritirata in massa degli altri commensali. La danza dell’ « Iris » si faceva sempre più furiosa, accompagnata da una strana musica, quella dello scricchiolìo dei madieri, del cigolìo delle antenne e delle corde. Almeno avesse danzato regolarmente! Invece, ora rollava, ora beccheggiava, ora era un connubio abbominevole di rollìo e di beccheggio. Talvolta s’inabbis-sava con la prua, tall’altra con la poppa. Era un movimento convulsivo, il suo, come quello del mare agitato su cui navigava. Io, ricorrendo all'unico rimedio per me efficace contro il mal di mare — il riposo assoluto, — me ne stavo chetissimo, con gli occhi chiusi, senza muovermi, senza fiatare, come si suol dire. E udivo minutamente tutto ciò che si faceva e si discorreva nel salone. In simili casi, sono infiniti gli episodi esilaranti d’occasione. Un tenente d’infanteria, poco abituato a simili spettacoli danzanti, volle sfidare il pericolo fino all’ultimo momento. Ma poi scappò precipitosamente da tavola, gridando: « Verfluchtes Dalmatien ! ! » come se la Dalmazia dovesse espiare le impertinenze del vecchio Quarnero. Lo seguirono gli altri suoi colleglli, più disposti a vincere una battaglia che le provocazioni sussul-torie dei loro visceri. — Cameriere!... — si udì all’unisono da tre cabine. Erano gli ufficiali che già spasimavano, ma questa volta non già d’amore...