414 LA DALMAZIA Chiesa e convento — non c’è altro — in una plaga oltre dire romantica. Nel convento vivono tre religiosi. Tra essi un vegliardo venerando. Volli salutarlo. Mi sembrò un patriarca, con la sua lunga barba bianchissima. — Come state ? — gli domandai. — Come Dio vuole ; sono vecchio e mi preparo all’altra vita — mi rispose, accarezzandomi. — Ho inteso ch’eravate per lunghi anni cieco. — È vero, ma un empirico turco mi guarì ed ora veggo abbastanza. Gli regalai cento talleri. Mi benedisse e me ne andai. M’informai anche del patrimonio del convento. Mi dissero che il suo patrimonio è tanto vasto, che i religiosi pagano 530 fiorini annui d’imposte, ma che deteriorò sensibilmente, causa la cocciutaggine del vecchio archimandrita. Il quale, assolutista perfetto, non ascoltava mai consigli : così, per esempio, il nuovo monastero, costruito sotto la sua direzione, è, internamente, una grotta tetra. Dopo una piccola refezione, si ritornò a Verlika. — La refezione è magra — si scusò il padre igumano — ma, in questi giorni di digiuno rigoroso, nessuno in convento osa mangiare cibi grassi, neanche il gatto, ammenoché non pigli un sorcio... Dopo aver intrapreso altre gite deliziosissime e fantastiche — sul Lemes, sullo Svilaja, sul Dinara — abbandonai Verlika il giorno di san Luca. Salmodiavano i fedeli intorno alla chiesa, accompagnando la processione ; e gli usignuoli dai vicini boschi gorgheggiavano i loro canti d’amore. Mi fermai un pochino presso la chiesa, sul piazzale del Comune, per ammirare il vestito pittoresco delle paesane. Parecchie di loro portavano la dalmatica al rovescio. Non ne comprendevo il significato. « Perchè sono in lutto » mi spiega-