SALONA 127 l’isolata ed alta fortezza di Clissa, fiancheggiata dal Kozjak e dal Mossor, una distesa di collinette verdeggianti. A destra, la vasta campagna ondulata; a sinistra il canale delle Castella termina nel golfo di Salona, un vero lago i di cui flutti bagnavano le mura dell’antico emporio romano. Nel golfo, un’isoletta coperta da un villaggio biancheggiante, giustifica il suo nome di « piccola Venezia » : è Vranjizza. Ecco, a destra, gli archi del celebre aquedotto di Diocleziano. Sono imponenti. Il ristauro geniale di quell’ aquedotto è dovuto all’iniziativa del Bajamonti. La magione in riva al mare di Cesare Giovio attingeva dal Jader, il moderno Giadro, l’acqua necessaria per le sue terme, per le sue fontane meravigliose ; e da quel fiume vetusto la attinge pure la Spalato odierna. Attraversiamo il ponte sul Giadro. Siamo forse nel perimetro dell’antica Salona, attualmente un paesello malsano di poche centinaia di abitanti. Il solo « Caffè Diocleziano » indica che i lontani pronipoti dei salonitani antichi non iscordarono il nome dell’imperatore geniale a cui l’antica Salona doveva il suo secondo ed ultimo periodo di floridezza. Alcune iscrizioni romane murate nelle casupole moderne, insieme ad altri frammenti ornamentali di quell’epoca, vi diranno che gli scavi di Salona non si eseguirono sempre a scopi scientifici. Non ci trattengano le ruine di un castello quadrato con angoli a torre, a destra della strada: non sono rovine romane. Quel castello è opera dell’arcivescovo di Spalato, Ugo Malabranca. L’egregio prelato lo eresse nel 1347, a difesa di Spalato contro le invasioni dei serbi che s’erano installati a Clissa. Pochi passi più avanti, a sinistra, ci appariranno le prime rovine di Salona romana. Entriamo per una breccia, tra le rovine storiche: noi calpestiamo una città quasi sepolta da circa tredici secoli! Sono mura irregolari, ma