Atto quarto 103 lei se ella non ne ha di se stessa. Lo dicevo io che non ne valeva la pena! Ulìta. Non ne valeva la pena, non ne valeva...... Non è all’altezza di lui! Anche io mi sono assai meravigliata, come per uno così bello una tale... Gurm. Questo non è affare tuo! Ulìta. Obbedisco. So ancora qualche cosa, sol tanto ho paura di pronunciarlo. Quando l’ho sentito ho provato una tale paura che un tremito mi è passato in tutte le membra. Gurm. Quante volte ti è stato comandato di non dire delle parole così stupide. Anch’ io sono una donna nervosa. Mi spaventi sempre fino a farmi venir la sincope, e poi dici delle sciocchezze. Ulìta. Sono sciocchezze, cara padrona, sono sciocchezze, non vi inquietate ! Si tratta di Ghennadij De-mianic ! Gurm. Cosa c’è? UlìTA. Egli vi ha ingannato; egli non è un signore, ma un attore, e ha mutato il suo nome — adesso si chiama Sfortunato. E non è tanto di teatro che si occupa quanto di baldoria. E i vestiti sono tutti qua, quello che ha addosso, questo lo so proprio con certezza; è venuto qua con una sola borsetta. Gurm. Allora è lui Sfortunato, ho sentito, ho sentito. Beh, tanto meglio allora. Ulìta. E il suo servitore anche è un attore, cara padrona, ed è il più dannato degli attori, proprio non rappresenta che dei diavoli. Gurm. Tanto meglio, tanto meglio! Come tutto ciò si è arrangiato a puntino per me.