Atto secondo 35 Pietro. Chiudo subito un occhio e faccio il guercio; e nessuno mi riconosce. Starò così tre giorni. Ti racconterò il caso che m’è avvenuto una volta. Mio padre mi mandò a Niznij per un affare, ma che non indugiassi!... A Niinij trovai dei compagni, che mi tentarono d’andare a Liskov. Come fare? Se lo vengono a sapere a casa, guai. Indossai ii gabbano di un altro, mi fasciai la faccia, e via. Sul piroscafo, pàffete, un conoscente di papà — sai, non mi nascondevo a lui, camminavo ardito, — ed egli continua-mente mi guardava. Ed ecco che mi s’avvicina. «Di dove venite? — mi dice. « Da Miskin », dico io. E non ci sono mai stato da quando son nato. « Mi pare — dice — di conoscervi«. «Non c’è niente di straordinario» dico; e mi allontano. E quello ritorna una seconda volta, e sempre domanda, e ritorna una terza volta, e indaga ancora. Mi si strinse il cuore. « Anche a me, dico, mi sembra di conoscervi. Non siamo stati insieme nella prigione di Kazàn?» E davanti a tutti lo dissi. E lui non seppe come andarsene; come se gli avessi sparato addosso. Che importano gli incontri? AksjÙSCIA. E quando avremo finito i soldi, che faremo? PIETRO. Non ho finito ancora di pensarci a questo: o andare a domandare perdono, o scegliere un dirupo, il più precipitoso e dove l’acqua è più profonda, e dove ci sia un vortice, e come delle scuri buttarsi giù e nuotare come nuotano le scuri. Bisogna pensarci ancora...