46 La foresta bello riposare dal viaggio, mangiare delle torte e bere dei liquori casalinghi. Ma come mai, fratello mio, non hai nè parenti nè conoscenti? Che uomo sei mai ? Fortunato. Ma nemmeuo voi ne avete. Sfortunato. Io ce ne ho, e volevo passar via senza fermarmi. Sono orgoglioso, io. Ma a quanto pare, mi ci dovrò fermare. Fortunato. Eh, coi parenti non abbiamo mica molta gioia, noialtri, Ghennàdij Demjànic. Noi siamo gente libera, vagabonda — la trattoria ci è più cara di qualunque cosa. Io ci ho vissuto coi parenti, lo so. Ho uno zio, bottegaio in una città di provincia, a 500 verste da qui, ci ho vissuto con lui, ma se non fossi scappato via... Sfortunato. Cosa? Fortunato. Non finiva bene. Adesso vi racconto. Avevo vagabondato tre mesi senza occupazione; be’, penso, vado a fare una visita allo zio. E così, ci ar rivai. Da principio non mi volevano lasciare entrare in casa; sulla scalinata si sporgevano fuori delle facce diverse. Finalmente, vien lui. « Tu, dice, per cosa sei venuto ?» « A farvi visita, zio » rispondo. «Vuol dire che hai buttata la tua arte?» «L’ho buttata», rispondo. «Allora, dice, eccoti una stanzetta, e resta un po’ con me, ma prima va a fare il bagno». Cominciai a vivere con loro. Si alzano alle quattro, pranzano alle dieci; vanno a letto alle otto; a pranzo e a cena bevi vodka, quanta ne vuoi, ma dopo pranzo a dormire. E tutti quanti in casa, zitti, Ghennàdij Demjànic, come fossero tutti morti.