tazione dell’arte monumentale dalmata si fosse potuto aggiungere un gruppo completo delle opere compiute da artisti di Dalmazia e da quegli anonimi « Maestri Dalmati » che dedicarono la loro vita a scolpir tombe per pontefici e per guerrieri, fuori della loro terra. È vero che il castello Ducale di Urbino, il bizzarro, stretto arco trionfale che biancheggia tra le due nere, poderose torri di Castel Nuovo a Napoli, e i busti pieni di una così irreale serenità di Beatrice e di Eleonora d’Aragona già mostrano al mondo qual genio la latina terra di Diocleziano imperatore abbia donato a Luciano e a Francesco Laurana, suoi figli immortali. Ma accanto a queste mirabili fatiche avrebbero trovato degno posto le edicole, i portali, le arche dei minori artefici, se pur minore di alcuno può chiamarsi quel Giovanni da Traù che con l’esuberante forza nativa ha scolpito le figure allegoriche nelle Cripte Vaticane e i belli, vigorosi angeli della Sacrestia di San Marco in Roma. Solo che, seguendo il nostro desiderio, avremmo condotto l’opera nostra ad altri fini : più vasti certamente ; anche, però, meno precisi. * * * Ecco, dunque, che sfogliando questo volume, la Dalmazia monumentale ci appare intera. Noi la vediamo svolgersi lentamente tra i suoi due estremi limiti marini : è come se andassimo lungo le sue rive e facessimo sosta in ognuna delle sue città meditando. Arbe ci dà, come sempre, il primo segno di bellezza col suo poderoso campanile romanico, sorto nel 1212, a specchio dell’ampio mare. E se non v’è accanto il bellissimo Duomo, e il bruno palazzotto del conte veneto con la sua torre quadra recante il Leone di San Marco, il Chiostro di Santa Eufemia ci offre l’esempio tipico d una architettura che poi rincontreremo in edifici privati e religiosi a Zara, a Traù e su qualche isola. E Zara ci mostra la sua Cattedrale austera, le absidi di San Grisogono, San Donato con le sue millenarie testimonianze, la Porta di Terraferma ch’è del Sanmicheli, e quella Loggia, ora divenuta biblioteca Paravia, che è certo del Sanmicheli anch’essa se pure l’esecuzione possa appartenere, come ci fa credere Giorgio Vasari, a suo nepote Gian Gregorio ch’egli incaricò del compimento di molte opere nella Dalmazia veneta.