Viene quindi la teoria dei busti di Beatrice d’Aragona. Uno, notissimo, è nel Museo di Berlino; nella collezione Bardini, a Firenze, ve n’è un altro; e un terzo è nella collezione André di Parigi. E ancora viene il busto della collezione Dreyfus (Parigi) che porta sul petto un cartello colla scritta: DIVA BEATRIX ARAGONIA; e vengono quello del Louvre, quello caratteristico dell’ Hofmuseum di Vienna, e, infine, le numerose maschere della donna celebrata, sparse in Francia ed in Germania. Assai conosciuto è anche il ritratto di Battista Sforza: DIVA BAPTISTA SFORTIA, che è conservato, con la sua altissima significazione ideale, nel Museo Nazionale di Firenze, ed ha ispirato molti tra i nostri artisti contemporanei. Francesco Laurana ha collaborato ad opere compiute a Genova, a Palermo e a Marsiglia. In Avignone ha lasciato il bassorilievo già rammentato in cui è notevole la dolente serenità nel volto del Cristo, e la vigoria dei guerrieri che com-pongon la scorta. Nel Museo della stessa città v’è, di suo, una testa di Gesù bambino che ha l’impronta della più grande arte. E morto, questo mirabile creatore, nel 1502, ventitré anni dopo il suo grande e immortale fratello Luciano. GIOVANNI DALMATA. Anche di Giovanni da Traù e dei caratteri essenziali dell’arte sua, parla il Venturi in questa opera. E più potrà dirsi quando saranno risolti alcuni problemi che interessano la vita e l’attività di quest’altro dalmata insigne. Contemporaneo delI’Alessi e di Mino da Fiesole, Giovanni lavora a fianco dell’uno e dell’altro. Ma se con Andrea da Durazzo mantiene intatta la sua poderosa personalità che si rivela specialmente nella vigoria ch’egli pone nelle sue figure, con Mino s’ammorbidisce e si trasforma fino a perdere molta della forza originaria. La parabola dell’arte di Giovanni Dalmata può considerarsi chiusa tra il busto marmoreo di Carlo Zeno, conservato a Venezia nel Museo Correr, e il sepolcro Gianelli del Duomo anconitano. Nell’uno una sintetica semplicità romana che si rivela nelle forti linee del volto, nella capellatura a brevi ciocche che incorona la fronte del veneto illustre, nella veste adattata a guisa di toga intorno al nudo collo della figura, ed aspra di pieghe prismatiche, formanti triangoli e piani contrapposti. Nell’altro la ricerca d’ una finitezza minuta, il ricordo d’esemplari veduti e — nella figura principale — pochissima vita. Pure, tra i due limiti, non v’é silenzio. Basta alla gloria di questo artefice l’alto e sonoro canto che si leva dall’immagine della n Speranza " ornante il sepolcro di Paolo II, nelle grotte vaticane. E bastano i cori degli angioli alati eh’ egli ha posto a far corona all’ Eterno, nella sacristia di San Marco, in Roma. 64