natura, tradotta da temperamenti diversi, dal modo di sentire grecamente dal Laurana, romanamente dall’Orsini. Mentre l’Èrcole, nelle proporzioni massicce, nella testa rotonda, nelle spalle quadrate, sembra un atleta modellato nel bronzo da Policleto, Jole desta in noi il ricordo delle statue greche del periodo arcaico, con la rigida linea egizia del busto piallato, con la purezza del calice raccolto dei fianchi. Nel timpano di una porta del palazzo d’Urbino, in un busto decorativo, già vediamo definito il carattere delle sue figure muliebri, l’astrazione del tipo spinta fino all’assenza di vita, la perfetta iscrizione di ogni dettaglio della forma entro il cilindro, che fa pensare a un’affinità stilistica fra Antonello e Laurana : la bellissima testa dalla pelle rasata, dalle sfumature lievi di chiaroscuro, ha la bocca tumida sbocciante fuor dal piano del volto, cilindrata come quella della Madonna di Monaco del grande messinese. Sicché nasce istintivamente il pensiero che l’opera del Laurana in Sicilia non sia stata senza effetto per l’arte di Antonello, vincolata a quella del maestro dalmata da indubbie affinità spirituali. Così la Madonna di Noto, stretta nelle lunghe pieghe del manto, immobile, chiusa nei propri pensieri, con lo sguardo fisso, le labbra strette, con il bimbo gracile, mingherlino, ci ricorda la Vergine del Rosario di Antonello a Messina, assorta in se, lontana da ogni cosa viva, non donna, non madre, ma simbolo, idolo di pietra. Col volger degli anni sempre più l’arte di Francesco Laurana si orienta verso l’astrazione dal tipo individuale, l’assenza della vita.. Escono dal sepolcro le sue nobili teste muliebri, la Eleonora d’Aragona del Museo di Palermo, con l’esile collo gigliato, la testa cilindrica chiusa nel velo lieve, di seta, il profilo purissimo, senza un fremito; la Battista Sforza del bassorilievo oliveriano di Pesaro, coi lineamenti consunti, irrigiditi dalla morte, proprio come le sue maschere marmoree di donna, dalle carni lievemente ondulate, solcate di funebri ombre leggere, con occhi spenti sotto le palpebre grevi, incapaci di chiudersi. Nella rigidezza spettrale di quelle maschere, che destano brividi per la potenza dell’immagine mortuaria, che hanno in sè il gelo della tomba, è tanta tragica mancanza di vita, quanta nel busto di Beatrice d’Aragona del Kaiser Friedrich’s Museum di Berlino, tecnicamente fra le opere più grandi dello scultore dalmata. La simmetria di ogni particolare, nella figura frontale, immobile, è assoluta ; la veste 29