della latinità, fiorente di virgulti per tutta l’Europa nel nuovo tempo. Quel gotico, che si accenna timido nella basilica di S. Francesco di Assisi, e si moltiplica per le Marche e per l’Umbria, si riflette nella porta del duomo di Zara.
    Ma il gotico importato dal settentrione non allignò nelle terre italiche ; si adattò alle nostre esigenze decorative, alla nostra libertà, agli edifici soleggiati. A Venezia i maestri lombardi giunti col milanese Matteo de’ Raverti e con Michelino da Besozzo, dopo ch’ebbero lavorato nel Duomo di Milano contrastando ai maestri nordici la supremazia, detter opera a parare la Ca’ d’Oro e a rinnovare solenne 1’ esterno del Palazzo ducale. Ne uscì un gotico fiorito veneziano, grasso, arricciato, fiammante, coi grandi quadrilobi entro cerchi tangenti, che formano rose, oculi, rote, croci, cavalli marini moltiplican-tisi sotto le arcate. Nulla della esilità, della snellezza, dello slancio del gotico iniziale, ma un traforo marmoreo, un contrasto di bianco e di nero, del nitore delle cornici con l’ombra profonda. Questa forma decorativa superba si distende in Dalmazia : a Traù ricama le finestre del palazzo del Comune, rompe con la sonorità le pareti del campanile, festona le trifore del Palazzo Cippico; a Ragusa il palazzo de’ Rettori, la Dogana hanno le finestre, come il chiostro de’ Domenicani le logge, con la frangia delle centine stellata.
    Per rappresentare questa forma decorativa, dalla Dalmazia, da Zara, giunge a Venezia Giorgio della nobile famiglia Orsini; vi apprende, sulle orme di Giovanni e Bartolomeo Bon, i principi del gotico fiorito, e lo divulga poi nella propria regione e nella Marca anconitana con una nuova libertà di forme, un’energia di vita tali da far pensare, a volta a volta, al pieno Cinquecento e al Barocco. La scultura diffusa per opera sua lungo le rive dalmate reca l’impronta rude, violenta, potentissima, di un’arte di provincia, che manifesti la propria vergine forza lasciando scorrere senza dighe, nè argini la foga creatrice, e sconfinando : grande anche nello sconfinamento. Nel Quattrocento, quando il gotico fiorito stava per finire anche a Venezia tra gli apparati magnifici della Porta della Carta, Giorgio da Sebe-nico si serve di quelle forme prossime a scomparire, le unisce alle antiche forme romaniche, per dar loro, con la ricchezza senza freni della sua fantasia decorativa, con la sua potenzialità di moto, colori
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