vecchi mercanti, di pirati, di guerrieri, si affacciano al cerchio dell’anello che le tiene inchiodate; tutta la popolazione multiforme che 10 scultore vedeva passare davanti a se ogni giorno per le vie di Se-benico, rivive fissata nello stretto zoccolo, caratterizzata rapidamente, italianamente, con spirito sintetico. Non solo a Sebenico, ma a Zara, ma a Spalato Giorgio Orsini lascia le tracce della sua tempra impetuosa. La cappella ardente dei monumenti funebri diviene una bocca di grotta, nel sepolcro di Sant Anastasio a Spalato : il baldacchino, motivo di slancio nell’arte gotica, si trasforma in motivo di gravitazione; il concetto di massa domina dappertutto, si traduce anche nei nodi pesanti di drappo, tenuti in pugno dagli angeli come pomi di mazze nodose. 11 corpo del guerriero, intorno al quale si avvolge la veste pieghettata, come intorno all’asta la stoffa di uno stendardo, serba energia di vita nel sonno; la testa di barbaro, rude, feroce, non affonda nel guanciale, ma si regge da sè per la rigida tensione del collo; le labbra suggellate, i lineamenti marcati, affilati, contorti esprimono il dominio di una volontà di ferro, non vinta dalla morte. Il sepolcro ideato liberamente nella forma di un antico sarcofago, con Santi poderosi entro rettangoli, ai lati della Flagellazione di Cristo, dove Giorgio da Sebenico sale di un tratto, per il movimento che si scatena terribile, all’altezza del pieno Conquecento. La composizione è anche qui schiettamente italiana, analoga, a quella di Donatello nel bassorilievo del Kaiser Friedrich’s Mu-seum, ma la finezza pittorica dell’arte fiorentina si perde nella forma aspra, poderosa : Cristo gigante cozza contro il capitello la testa brutale con violenza di toro inferocito, si torce intorno alla colonna col sordo furore d’una fiera avvinta a un albero; l’aguzzino a sinistra, un barbaro dalla testa sfuggente, feroce, balza sulla vittima come un domatore sopra un cavallo selvaggio per assicurare il laccio intorno alla preda ; nè si potrebbe immaginar forza maggiore di quella contenuta nelle membra tese dell’altro carnefice, nel pugno di ferro che stringe il flagello. La scena donatelliana, fiorita di eleganza per le belle forme, con i gesti studiati, equilibrati, si muta in lotta tra vittima e carnefici, in cozzo di forze uguali, terribili : la ferocia dei mostri romanici rivive, con potenza senza pari, in quel marmo ispirato dal pieno rinascimento toscano. 24