di fine seta marezzata si chiude a triangolo sul petto di fanciulla ; il plinto cinge il busto di una grande fascia di raso con figure alate dipinte più che scolpite, con una voluta ionica, che raccoglie e coordina le pure, verginali linee del busto. La raffinatezza decorativa è estrema, in quell’equilibrio perfetto di linee, nella leggerezza dei ricami della veste, nell’ondulata treccia dei capelli, pesante come l’anellone d’alloro che aggioga la testa muliebre nel timpano della porta urbinate. La bella donna sembra l’imagine del silenzio, nelle sue linee giovanili, impersonali, idealizzate : la gran fronte limitata dall’arco a pieno centro dei capelli, gli occhi erranti appena socchiusi a significare lo sgomento della vita, la bocca sigillata, dormiente di un sonno che nulla può rompere, immobile, senza respiro. Con questo capolavoro di penombre marmoree, di finezze decorative, di idealismo artistico, chiudo il discorso sul nobilissimo scultore dalmata, compagno a Luciano Lau-rana nella decorazione del più armonico palazzo che vanti il Rinascimento italiano, ispiratore del popolo di Madonne gaginiane in Sicilia, diffonditore delle forme nostre nel mezzogiorno di Francia, predecessore di Antonello da Messina per la tendenza all’astrazione ideale. E nessuno più di lui seppe far vivere le proprie creature fuor dal mondo della realtà. Un altro maestro, Giovanni di Traù, s’avvicinò all’arte toscana scolpendo specialmente con Mino da Fiesole in Roma. Qui arrivando giovanissimo aveva una maniera forte, rocciosa, derivatagli dall’educazione avuta nella bottega di qualche maestro lombardo e dalle tendenze acquisite nella sua terra natale. Così si presenta nella parte sua propria dell’altare della sagrestia di San Marco, negli angioli con le ali aperte e le braccia conserte, sorgenti, sui riquadri del tabernacolo, da un ammasso di coltri spiegazzate, rigonfie in forme triangolari, spezzati in cristalli prismatici. Per il Cardinal di San Marco lavorò quel tabernacolo con Mino da Fiesole, e quantunque più fondato del compagno nell’arte e più forte, fu attratto dalle eleganze, dalle sottigliezze, dalle evanescenze di lui. Ancora nel sepolcro di Paolo II, ora disfatto nelle grotte vaticane, che sembran le scale gemonie dell’arte del vecchio San Pietro, ancora mantiene la sua spezzatura, l’irta scheggiatura, l’aspro frastaglio delle vestimenta : eppure per quel sepolcro papale crea un capolavoro, figurando la Speranza seduta in 30