avuto natura schiettamente italiana, non sarebbero spuntati sulle sue rive i fiori per il gran serto, che nei paesi, dove razze e naturali delimitazioni rimangon confuse, l’arte partecipa delle diverse razze, e, a cavalcioni sui confini, prende a diritta e a manca, dall’ alto e dal basso. Così in quei paesi si forma un’arte ibrida, che suol dirsi di confine, raccoglitrice di parole e di frasi di lingue diverse in una mescolanza torbida. Questo non avvenne in Dalmazia, perchè l’arte indigena non fu oppressa, soppiantata, neppur tocca, da specie d’arte diversa di origine e di tendenze : italiana fu l’arte da Zara alle Bocche di Cattaro ne’ municipi e nelle chiese, nelle logge pubbliche e ne’ palazzi privati. Le forze ingenite dell’arte dalmata trovarono nuova vigoria rifluendo al cuore d’Italia, onde poi, per la riflessione, per l’echeggiamento delle nuove forme dalle sponde opposte dell’Adriatico, dalle Puglie, dalle Marche, dalle Romagne e da Venezia, fu in Dalmazia una simiglianza agli aspetti familiari a tutta Italia, una concordanza con le forme nostre, casalinghe dovunque, una stessa fisionomia aperta dallo stesso spirito, imporporata dal nostro sangue, illuminata dal genio di nostra gente. La pianta dell’arte s’aderse sulle rive predate dai barbari, fiorì magnifica, splendente della bellezza antica della terra su cui si stese il gran manto imperiale di Diocleziano, e della bellezza nuova della terra di San Marco. Nè si creda che l’arte dalmata rifletta, ritragga come in uno specchio l’arte della penisola, e che abbia dato imitazioni pedisseque o materiali, mentre fu animata sempre dalla stessa forza ingenita, dalle medesime linfe di vita, da uguali fremiti creativi. E l’arte italiana, che, negli aspetti fraterni delle cose belle prodotte, presenta una varietà multicolore, festosa, come quella dei gonfaloni delle città nostre, vanta la Dalmazia tra le regioni ch’ebbero maggior forza rappresentativa delle tradizioni profonde, dei comuni sensi della bellezza, delle natie tendenze patrie. Tale conformità di manifestazioni d’arte, di civiltà, di vita tra la Dalmazia e la madre Italia segna i confini di quella terra nostra al di là del Quarnero. Non si pensi che Tartari, Croati, Schiavoni abbiano soppiantato gl’italiani; che le distruzioni di Avari, d’Unghe-resi, di Turchi abbiano soffocato le germinazioni spontanee nostrane. Chi conti le popolazioni con l’abaco alla mano vedrà in Dalmazia il sopravvento lsavo : l’elemento originario italiano sospinto, respinto 20