IV Parlare della Jugoslavia è perciò un compito no-ioso, quand'anche increscioso. Belgrado, infeudata a Parigi, attraversa certa-mente come la sua pronuba una crisi esasperata di nervosa italofobia, e vede perciò il nostro Paese at-traverso una lente affumicata dal pessimismo di preconcetti ostili. Ostilità attiva, insidiosa, aggressiva, intrigante e prepotente. Ostilità sopratutto retro-spettiva, storica, versagliese. Tuttavia noi abbiamo affrontato serenamente il compito di racchiudere in queste pagine la storia politica poco edificante dei serbi, i quali si fanno maestri d'una moralità panslava in ampollosa fun-Zione di rigenerazione europea, mentre glorificano dei torvi gendarmi che abbattono la furia del loro sadismo sanguinario sulle popolazioni inermi delle minoranze nazionali. E’ una colossale e ignominiosa menzogna asserire che Belgrado lavora per la pace. A meno che non si voglia chiamare a suffragio quella certa moda mentale francese che porta a interpretare il servizio esplicato per la pace unicamente come il rispetto dell'ordine territoriale. Lavorare per la causa della pace a Parigi e a Belgrado significa soltanto cercare di conservare lo statu quo. Anche se per conservare questo statu quo s: renda necessario il soffocamento di altri popoli e la instaurazione di regimi che ripetono "tutti gli in-