LA JUGOSLAVIA E LA PACE EUROPEA 89 la vittoria come una scomunica e una maledizione, continuando a distendersi supini nella loro vigliaccheria, lasciavano credere ai ringalluzziti jugoslavi affamati di dominio che l’Italia fosse veramente fatta degli « eroi di Ca-poretto » e dei « garibaldini di Valona ». Fu questa convinzione, che divenne profonda nell’anima degli slavi italofobi, a rendere più tracotanti e sfacciati nelle richieste e nelle rivendicazioni tutti i fautori del panslavismo balcanico. E’ noto che Trumbic chiese già nel 1919, e in maniera molto esplicita, il Porto N. Sauro e Sussak, « l’unico sbocco al commercio del regno croato », mentre si rifiutava per il confine terrestre a qualsiasi concessione che oltrapassasse la linea segnata da Wilson, chiedendo per di più la zona di Albona ricca di miniere carbonifere. Né bastava. Tutte le isole del Quarnaro e della Dalmazia dovevano essere consegnate agli jugoslavi. A Zara si sarebbe conferito un governo autonomo, e l’Italia doveva riconoscere l’annessione del Montenegro alla Serbia rinunciando anche al mandato in Albania. Pare che la delegazione jugoslava avesse anche affermato il diritto dei serbi-croati-sloveni al confine dell’Isonzo. Codeste pretese venivano avanzate con una politica coraggiosa e tenace, tanto più che vennero confortate da cospicui successi durante i compromessi avuti con il governo di Roma per la questione adriatica. Il governo italiano era andato a Rapallo senza un programma minimo e massimo, anzi con un programma di rinuncie che incoraggiò gli jugoslavi a strappare notevolissime concessioni. Sforza riconosceva che il governo