96 A. BESOZZI - V. A. MARTINI speranza. Il panserbismo si era mantenuto fino ad un ventennio prima allo stato quasi potenziale, estrinsecandosi in una arrabbiata resistenza passiva e in episodi sporadici di difesa e di aggressione contro la politica soverchiai rice della Cancelleria di Vienna, che serviva fedelmente i disegni germanici di un grande imperialismo orientale teutonico. Fu dopo il ’18 che Belgrado cominciò a svolgere un’attiva azione per realizzare quanto più fosse possibile i capisaldi del suo programma imperialista. Fu solo dopo quell’epoca che i serbi cominciarono ad avanzare con singolare improntitudine le più audaci richieste. Che cosa mai potevano valere dopo di fronte al pan-serbismo la Croazia e la Slavonia e la Bosnia e il Montenegro e l’Albania e la Bulgaria e la Macedonia? « I Balcani ai popoli balcanici »? Formule, programmi, clausole di contratti diplomatici! Le religioni? Meno che zero! La storia? La fanno loro. Le aspirazioni nazionali? Niente. Chiasso di anarcoidi. Nei Bàlcani non vi è che la Serbia. La politica balcanica non è che panserbista. La più grande missione storica nel mondo non dev’essere compiuta che dal panslavismo. Tirato il sugo, queste sono le considerazioni e gli apprezzamenti dei panserbisti. Vi ha certamente del semplicismo rovinoso e dell’ambizione tanto accesa che diventa paranoica e crudele. La Serbia era prima del 1912 una piccola nazione di pochi milioni di abitanti, di terz’ordine, accerchiata poderosamente dalle frontiere di sei Stati, senza respiro e