LA JUGOSLAVIA E LA PACE EUROPEA 139 cide nelle camarille di corte e nei circoli militari. Essi ritengono come una gloria della Serbia che nessun monar-ca serbo è morto per il passato di morte naturale. La Serbia non si è mai preoccupata di organizzare lo stato secondo i desideri o le esigenze dei suoi sudditi. Essa è stata sempre nemica della libertà di stampa e della libertà di opinione. Tutti i giornali di Belgrado, tranne i comunisti e i repubblicani che si pubblicano una volta alla settimana, ed hanno una tiratura bassissima, vivono con le sovvenzioni dello stato e delle ban-che. La grande sventura del popolo serbo è l’assenza di una classe intellettuale realmente capace di governarlo. Le città serbe, Belgrado, Smederevo e Sciabaz non sono mai stati dei centri di coltura. Nei villaggi il sapere era monopolio della classe sacerdotale. I « popi » serbi per molto tempo furono greci, armeni e romeni e anche tzigani che abbracciavano il sacerdozio. I « puri » serbi erano pochissimi. Questi preti formarono la classe intellettuale; e ciò spiega l’intolleranza di questa e la sua pretesa di costituire un popolo eletto. La Serbia attuale continua tutti i delitti della vecchia Turchia di Abd-el-Hamid e tutti gli intrighi dell’antica corte di Vienna. Non è quindi da meravigliarsi se la Serbia corre verso l’abisso in cui precipitarono i turchi e gli austriaci ». Dalla resistenza ad oltranza che i ridaciani opponevano all’infuriare del terrore, i fautori e gli adepti del panserbismo attingevano però maggiore impulso alle loro azioni di persecuzione ostinata e di oppressione rabbiosa. Fu così concepito e osato l’inosabile. Il 20 giugno 1928,