52 A. BESOZZI - V. A. MARTINI mile dichiarazione avrebbe potuto determinare in una Nazione alleata, che era in critiche condizioni? L’attentato alla vita del Reggente serbo Alessandro, commesso contemporaneamente, durante l’occasione cioè in cui i serbi avrebbero dovuto dimostrare una saldezza di propositi e il generale desiderio di provare agli Alleati, con un’efficace concorso alla guerra, tutta la gratitudine che loro dovevano, dimostra ancora più chiaramente come il loro spirito fosse rivolto all’intrigo e alla congiura in-vece che verso gli obiettivi che le necessità del momento imponevano in tutta la loro grave serietà. Molti episodi si potrebbero narrare per mettere nella vera luce lo spirito dei serbi, che avevano macchinato la guerra non solo per la « delenda Austria », ma per pre-parare con le armi più subdole e con gli intrighi più insidiosi il campo su cui sfogare lo smisurato appetito territoriale. Non furono forse essi che dopo aver ripetuto migliaia di volte nei campi della Macedonia il dobar Taljan, che divideva la sua pagnotta e combatteva per i loro frutti, sparavano poi a Belgrado contro il nostro ufficiale di col-legamento? Da chi fu fischiata a Monastir la Marcia Reale? Chi vomitava ingiurie e contumelie contro la « patria del brigantaggio e di Machiavelli » nelle vie affollate della vecchia Serbia, subito dopo la vittoria, con la coccarda jugoslava sulla logora divisa di guerra, all’ombra della bandiera francese? Degli ufficiali austro-ungarici che dalla frontiera serba venivano spostati a quella italiana, di passaggio per Sis-sek, vedevano inalberate sulle trincee serbe dei grandi car-