— 44 — pubblici), l'Adriatico funse stato aperto ai nuovi « barbari >, ben altro coreo della Storia avrebbe dimostrato quanto il dominio italiano dell» xpou-da orientale importi, prima che alla prosperità dei trattici, alla difesa medesima della Penisola. La guerra di Chioggia prescrisse nuove vie alla politica veneziana. Nell’ora solenne del pericolo quel consiglio, che prima avrebbe potuto direi ambizione o cupidigia, con terribile evidenza apparve necessita ineluttabile. Per la vita, non per la grandezza, Venezia doveva abbattere le Signorie vicine in terraferma e riconquistare la Dalmazia. Il leeone di S. Marco distese le sue ali sulla Dalmazia quasi ad un lempo. La nuova soggezione dei Ihilmati, di mezzo alle vicende delle guerre tra Angioini e Dnraz-zeschi. fu preparata con un’azione prodente, che contenne le aspirazioni dei He di Bosnia e di Rascia alla potenza marittima, e, mentre incombeva la nuova minaccia ottomana, sfrattò li malcontento delle citta per il governo avaro e disordinato di Sigismondo e per l’oppressione dei Uni croati, sino a quando Ladislao, dopo doe anni di negoziazioni, disperando di poter sostenere la sua parte in Ungheria, il 9 loglio 11*«!» redette per centomila ducati Pago. Sovigrad. Zara, Vrana e tatti i saoi diritti salia Dalmazia. il popolo di Zara si rivolto ai Napoletani che lo avevano venduto, ma grido rtra N. JVarm e chiamò « santa intrada • l’ingresso dei magistrati veneziani. Dopo la lunga esperienza, la veneta signoria non appariva più « giogo di tirannica