— 278 — l’onore. E detto fatto, volevano gettare il Kusctrim o accor-r’uomo, cioè tirare alcuni colpi di schioppo e raccogliere tutte le contrade di Scialla per abbruciare la casa del giovane che fu causa del disturbo. Appena mi accorsi di questo: No, dissi, per carità non lo fate, e cercai trattenerli, ina non volevano ascoltare. Intanto il giovane s’irritava sempre più e protestava che voleva uccidere, che nessuno avrebbe potuto fargli nulla e che so io. Non sapeva più a quale partito appigliarmi. Mi feci portare il Crocifisso della Missione, e messomi in piedi su un rialzo davanti la chiesa per esser un po’ più alto e dominar gli altri, intonai il Rosario del S. Cuore: Jesu mitis et humitis corde, fac cor meum secundum Cor tuum, e la gente rispondeva. Ripetei quell’invocazione un trenta o quaranta volte, dicendo in cuor mio al Signore: « Sono disperato; se non ammansate voi questi cuori, nessuno impedirà oggi una strage ». Mentre noi così pregavamo si calmò la confusione, molta gente prese la via verso le loro case. Allora col Crocifisso benedissi il popolo e il paese, e mi avviai al luogo dove dovevamo far colazione sempre però col Crocifisso in mano e cantando il Rosario del S. Cuore. La gente era già dispersa o si dileguava sempre più, ma i più interessati in quell’affare e i più caldi trattavano in qual kulha o torre dovevano ritirarsi per combattere, e sfogarsi contro il giovane perturbatore. Màrasci poi, benché si fosse un poco allontanato fìngendo di andarsene, pure con altri del suo partito stava a vedere dove andava a parare la cosa. Quando si vede venirci incontro una donna correndo colla notizia che era stato ucciso il tale (un giovane della più ricca famiglia di Scialla) nella contrada o villaggio di Vuksanai, e l’aveva ucciso il tale di Piolhi, cognato del nostro Màrasci e per questo gli si era abbruciata la casa. Questa notizia dissipò all’istante la nostra tempesta, giacché il giovane Màrasci in pensiero pel cognato, subito corse in aiuto di lui con altri suoi. In quel momento al luogo dove bruciava la casa si gettò il kusctrim per aver gente in aiuto, e molti si diressero a quella volta. Il nostro osi»ite 8’era adoperato per prepararci il desinare, c’invitava a mangiare, ma io era troppo agitato, appetito non ne aveva affatto, e se avessi mangiato ne avrei sofferto. Inoltre a Piolhi, proprio di rimpetto alla casa del nostro albergatore si vedeva un correre, un venire, uno scappare di gente e nascondersi dietro i muri o i sassi: il che mostrava tutto essere in confusione. A un certo punto ci fu una scarica di schioppettate e poi un fuggire e gridare che fece sospettare esserne rimasti uccisi parecchi. Noi eravamo molto agitati; il nostro albergatore avvezzo