— 61 — In questo mezzo tempo il Console italiano ricevette dalla sua ambasciata di Costantinopoli comunicazione d'una Nota del Governo ottomano nella quale si diceva che alcuni Padri Gesuiti italiani residenti a Scutari giravano per la Provincia senza avvisare prima l’autorità e senza accompagnamento di gendarmi. Nelle presenti circostanze un tal modo di operare non esser prudente, e il Governo di S. M. il Gran Sultano non potea rendersi responsabile di ciò che potesse accadere ai detti Religiosi. Il signor Console italiano ci comunicò la Nota, (che) era di data anteriore all’affare di Riolhi, e però essa non aveva nessun legame colla questione della croce e solo per caso coincideva con essa. Si giudicò quindi ch’essa fosse un tiro di chi voleva impedire indirettamente le escursioni apostoliche dei Padri mettendoli in timore di qualche attentato alla lor vita e obbligandoli a ricorrere all’autorità civile ogni qualvolta volessero andare in qualche luogo per esercitare i loro ministeri religiosi: misura assai dannosa alla libertà del loro ministero e che altre volte s’era tentato di prendere per inceppare la Missione. D’altra parte il Governo locale di Scutari non ci avea fatto nessuna comunicazione ufficiale in iproposito; e la missione volante non era sotto la protezione del Governo italiano; il Consolato austriaco protettore del culto in Albania, non aveva avuto alcun avviso; dei Padri Missionari uno solo era suddito italiano; si potea quindi non tenere conto di quell’avviso venuto dal Consolato d’Italia e continuare le escursioni come s’era fatto fino allora, e provvedere alla sicurezza personale dei Padri col farli sempre accompagnare da montanari della tribù dove andavano a predicare. Se non che c’era la questione della Croce di Riolhi che poteva esser causa di disordini, e disturbare le Missioni che si dovevano dare non molto distante da quel villaggio; e i maligni avrebbero potuto poi attribuire a noi qualunque male fosse avvenuto in quella occasione. Ma ad Hoti i partiti per la Missione erano così esasperati, che se noi non andavamo, si minacciavano disordini ed uccisioni, in vendetta (dicevano essi) dell’essersi impedita la venuta dei missionari. I religiosi di S. Francesco ci raccomandavano caldamente che non differissimo più oltre; nulla di male avremmo incontrato; anzi la nostra andata avrebbe impedito i disordini che altrimenti di certo avrebbero avuto luogo. Anche Mons. Guerini, Arcivescovo di Scutari, era di questo parere, e pregava che si andasse. Si prese consiglio e si determinò che io mi recassi a far visita a S. E. il Pascià non per chieder licenza, ma per avvisarlo di questa nostra andata a Kastrati e Hoti; dalla sua rispo-